Sapremo oggi di quanto l’Istat ritoccherà la crescita del prodotto lordo, un tassello chiave per comporre la manovra di bilancio 2025 e il Piano strutturale da inviare a Bruxelles sul quale in settimana sono previsti anche gli incontri con le parti sociali. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti si trova di fronte a un triplice dilemma. Il primo è come ridurre il deficit del bilancio pubblico, il secondo è come impedire l’autunnale assalto alla diligenza che si ripete ogni anno, il terzo è come garantire che la crescita non scenda sotto l’un per cento. Molte incognite, forse troppe, impediscono per il momento di trovare una soluzione.
La settimana scorsa si sono sentiti due gridi d’allarme sulla congiuntura. Il primo dal Presidente della Confindustria Emanuele Orsini e riguarda l’industria manifatturiera in netto calo ormai da mesi. C’è una vera e propria caduta in due settori chiave, il tessile e l’automobile, ma tutti i comparti sono in rosso a eccezione dell’energia. Il secondo campanello l’ha suonato la Confcommercio che nella sua indagine congiunturale parla di prodotto lordo fermo: “I mesi estivi – scrive – più che diradare le ombre sembrano aver consolidato il clima di incertezza, con l’emergere di alcuni segnali di rallentamento”. Finora si era detto che la manifattura va male, però i servizi crescono, adesso l’associazione dei commercianti scrive che “la catena reddito-fiducia-consumi sembra essersi inceppata”. La spesa delle famiglie non tira. “Probabilmente una nuova crescita della fiducia a settembre e ottobre porterebbe a superare di slancio questa fase attendista. Ma è un processo tutto da costruire, assieme alla crescita decisiva dell’ultimo quarto dell’anno”. Se è così, l’obiettivo di un aumento dell’un per cento fissato dal Governo s’allontana e diventano più probabili le stime di uno 0,6% aggiustato allo 0,8% per le quattro giornate lavorative in più.
Ma come costruire quel processo del quale parla la Confcommercio? La scorciatoia è un sostegno ai consumi delle famiglie attraverso la spesa pubblica. Tuttavia sembra non praticabile. La spesa corrente anzi va contenuta, il ministro Giorgetti da sempre prudente adesso è diventato rigoroso. Il Governo si è impegnato formalmente a far scendere il deficit sotto il 3% nel 2026, con un netto anticipo rispetto alle indicazioni precedenti. La traiettoria di spesa netta, il parametro che conta con le nuove regole europee, deve restare entro un aumento dell’1,5%. La domanda interna nel suo complesso (consumi più investimenti) potrebbe essere sostenuta dal Pnrr, tuttavia finora non si è visto nessun impatto consistente. Nel 2023 si rinviava tutto al 2024, adesso si guarda al 2025 e soprattuto al 2026, più in là non si può andare, prestiti e assegnazioni a fondo perduto scadranno, quel che non è stato speso andrà restituito.
La manovra di bilancio avrà un punto fermo nella conferma degli sgravi Irpef più il taglio del cuneo fiscale che secondo Giorgetti dovrebbe essere permanente. Si sparano cifre (tra i 20 e i 25 miliardi) e mancano dieci miliardi per confermare le promesse. Non sappiamo se ci sarà spazio per un beneficio esteso ai redditi medio-alti (60 mila euro) come propone il viceministro Maurizio Leo e per allargare la flat tax per gli autonomi fino a redditi di 90 mila euro come vorrebbe Matteo Salvini. Lo stesso Giorgetti prevedeva un sostegno a chi fa figli, poi sembra che non ci siano le risorse. Le entrate sono andate meglio del previsto, però, ha detto il ministro, “non ci sono tesoretti ai quali attingere”. Riecco la tassa sugli extraprofitti, ma pesa il flop dello scorso anno.
Intanto, tornano i bonus. Si parla di una gratifica natalizia (Leo ha messo le mani avanti: sarà su richiesta, cento euro netti per chi non supera un redito di 28 mila euro l’anno). Ma spuntano già tutta una serie di altri benefici, magari piccoli presi ciascun per sé, ma che alla fine fanno massa. Vedremo dunque se e fino a che punto il Governo riuscirà a tenere fede alla promessa annunciata da Giorgia Meloni di non gettare più soldi alla finestra. “Niente bonus” lo si diceva già lo scorso anno.
Per recuperare risorse si guarda a quel gigantesco spreco rappresentato dalla giungla delle deduzioni e detrazioni fiscali. Sembra che costino circa 130 miliardi di euro. Mettere ordine è necessario da tempo, tuttavia non basta disboscare la foresta, bisogna ridurre le agevolazioni se si vuole recuperare spazi di manovra per allargare la via maestra, cioè la riforma complessiva del fisco che è uno degli impegni presi dal Governo e scritti nel Pnrr.
Riprendono quota le privatizzazioni. Giorgetti vorrebbe cedere sul mercato il 15% delle Poste, ricavando due miliardi e mezzo di euro. C’è poi l’eterna vendita del Monte dei Paschi di Siena che ormai è come l’araba fenice: che ci sia ognun lo dice quando sia nessun lo sa. Si era parlato delle Ferrovie, operazione complessa, la polpa appetibile è l’alta velocità, bisogna scorporarla dai treni in perdita che viaggiano perché è il Tesoro a tappare i buchi. È un’operazione complessa, ma si può fare. Ammesso che ci sia l’accordo, richiede tempo, dunque è difficile che dia frutti quest’anno e forse nemmeno il prossimo.
Mentre Giorgetti cerca di rastrellare tutto il possibile, vede davanti a sé il pericolo che le crisi industriali che già ci sono, quelle che ci saranno se la congiuntura con cambia, più i rischi ai quali vanno incontro il commercio e i servizi nel loro complesso, ricadano sul bilancio dello Stato. Un’ondata di cassa integrazione straordinaria è lo spettro che va assolutamente esorcizzato.
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