Con settembre iniziano ad avvicinarsi delle scadenze importanti per l’Esecutivo e per il Paese: nonostante l’opinione pubblica sia alle prese con il caso dell’ex ministro della Cultura Sangiuliano, l’attenzione presto si sposterà sulla Manovra 2025, la terza di questo Esecutivo.
Se la prima Manovra prendeva le redini da alcune scelte del Governo precedente (Governo Draghi), già quella scorsa era figlia diretta del Governo Meloni e ancora di più lo sarà quella di quest’anno. Una delle questioni più spinose dello scorso anno era relativa a dove inglobare la maggior parte delle spese relative al Superbonus, ormai pari a circa 200 miliardi (cfr. Il Sole24 Ore): in quel caso bisognava attendere le decisioni di Eurostat, che aveva poi dichiarato che la maggior parte dei crediti relativi alla misura erano pagabili nel 2023, andando a pesare principalmente sul deficit dello scorso anno. Il fatto che nel 2023 il Patto di stabilità fosse sospeso aveva fatto sì che questa notizia fosse estremamente positiva. Quest’anno, al contrario, è in vigore il nuovo Patto di stabilità, con il quale inizia la questione relativa ai piani di rientro dal deficit eccessivo. Il fatto che il Patto, dopo la sospensione dovuta all’emergenza Covid, sia tornato in vigore comporta alcuni vincoli.
A livello europeo va inoltre segnalato come l’inflazione, pur alta, abbia allentato la presa rispetto ai dati esplosi appena dopo il conflitto in Ucraina. A questo si aggiunge una politica monetaria della Banca centrale europea che ha smesso di alzare i tassi d’interesse, segnando anzi una nuova discesa di 25 punti percentuali (dal 3,75% al 3,5%): nonostante i tassi siano ancora alti, questa parziale decrescita permette una circolazione della liquidità maggiore, che in ultima analisi, grazie all’abbassamento del costo del denaro, incide sulle capacità di spesa delle famiglie. È un dato internazionale di cui bisogna tenere conto quando si parla di Manovra 2025.
L’insieme di Legge di bilancio e situazione internazionale fa sì che questa Manovra sia forse la più importante e la più politica dell’attuale Governo.
Su cosa però dovrà muoversi il titolare del ministero dell’Economia e delle Finanze? Tre sono i paletti principali: il primo riguarda la conferma del taglio del cuneo fiscale (cui si accompagna il Bonus Befana deciso ad aprile di quest’anno), con l’augurio che non sia una proroga ma che diventi un taglio strutturale. Se tale taglio non fosse confermato, anche solo per un altro anno, certamente si potrebbe parlare di fallimento nelle politiche economiche della compagine governativa, ma attualmente quest’ipotesi sembra non esistere. Un altro punto è la rimodulazione dell’Irpef in tre scaglioni, già approvata per il 2024 e da confermare per il 2025, che dovrebbe avere qualche piccolo correttivo. Infine, l’ultimo punto è sicuramente quello inerente la sanità, dove si aspettano ulteriori risorse oltre a quelle già stanziate: va qui ricordato che lo scorso anno non ci sono stati tagli nei finanziamenti per quanto riguarda i valori assoluti (anzi, in termini assoluti sono stati investiti 138 miliardi, due in più di quanto previsto dalla Nadef), mentre c’è stato un piccolo taglio se questi si rapportano al Pil (va però considerato che l’anno scorso il margine di manovra era assai ridotto a causa dei costi del Superbonus).
Ci sono ovviamente altre questioni che andranno ancora studiate, come l’idea di estendere a 2.000 euro i fringe benefit a chiunque e non solo a chi a figli o i finanziamenti a chi assume a tempo indeterminato. Un tema importante rimane la questione del lavoro povero e quella salariale: da un lato, la questione sociale della povertà diffusa, unita ai lavoratori poveri, è una delle emergenze principali. Dall’altra parte il tema dei bassi salari italiani è legata strettamente al debito e alle spese per gli interessi, ma è senz’altro da risolvere per una maggiore competitività dell’industria italiana, insieme alla capacità di attrarre valore e cervelli anziché farli scappare. Senza contare inoltre che la questione economica (di cui fa parte quella salariale) è uno dei problemi principali da risolvere per combattere adeguatamente la crisi demografica italiana.
Proprio a questo proposito sembra essere arrivato il momento di un quoziente familiare all’italiana legato alle detrazioni (ancor priva di nome la misura si suggerisce di chiamarla “detrazioni familiari”) dal costo di 5-6 miliardi. Sarebbe l’inizio di una politica fiscale familiare strutturata, che, per quanto ancora da migliorare, non può che essere considerata un primo grande passo. Certamente una misura sulla quale il Governo gioca la sua credibilità economica e politica, ma che, ci si augura, dovrebbe trovare il sostegno dell’opposizione.
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