Per sapere che cosa farà il Governo contro l’inflazione e il caro bollette, dobbiamo aspettare almeno una settimana. Prima Giorgia Meloni andrà a Bruxelles, giovedì prossimo, poi dovrà convocare il primo Consiglio dei ministri operativo. Finora abbiamo assistito ad annunci per così dire identitari: l’aumento del contante, il reintegro dei medici no vax, il blocco delle navi ong, il genere del capo del governo (il/la signor/a), adesso s’aggiunge l’indiscrezione che nell’ordine del giorno del Cdm di domani al primo posto ci sarà la giustizia cioè l’affossamento della riforma Cartabia.



Meloni aveva detto che tutti gli sforzi dovevano essere concentrati su come affrontare la crisi del gas, invece sembra che a questo pensi solo Giancarlo Giorgetti, il quale cammina sulle uova. Il ministro dell’Economia a quel che si scrive, sta cercando “la quadra”, cioè come aumentare le risorse per i sostegni a famiglie e imprese senza scassare i conti pubblici, cioè senza invertire il percorso già tracciato dal Governo Draghi.



Si parla di un aumento del disavanzo programmato dal 3,4% al 4,5%, al quale aggiungere quel che si riesce a rastrellare aumentando la tassa sui super-profitti, riducendo il Reddito di cittadinanza e attingendo a quel che resta del “tesoretto” lasciato dalla forte crescita degli scorsi 18 mesi. Sui giornali circola una cifra di 21 miliardi di euro, tra i 15 e i 16 miliardi verrebbero utilizzati per compensare il rincaro del gas e dell’elettricità, 5 miliardi per prorogare le misure in scadenza sulle pensioni (a mandare in soffitta la Fornero come propone Matteo Salvini ci si penserà l’anno prossimo) e per un contentino alla Lega sulla flat tax per gli autonomi. Ci dovrebbe essere fuori sacco un decreto sulla sanatoria fiscale che accompagnerà la Legge di bilancio da varare venerdì prossimo. Un impianto conservativo che consente di non aggravare il debito, anche grazie all’effetto dell’inflazione. L’aumento dei prezzi, infatti, ha un impatto contraddittorio: agevola i debitori e colpisce i redditi fissi; c’è una inflazione buona e una cattiva, un po’ come il debito secondo la divisione già tracciata da Mario Draghi. Ma è chiaro che se proseguirà la corsa (l’ultimo dato l’avvicina al 12%) sarà difficile contare sul suo lato buono.



Può darsi, come dicono molti economisti e come mostrano già alcuni indicatori, che l’inflazione rallenterà nei prossimi mesi. Intanto si vede già una riduzione notevole dei prezzi del gas, dovuto a un autunno molto caldo e a una contrazione della domanda. L’aumento dei tassi d’interesse avrà a sua volta un impatto negativo sia sui consumi che sugli investimenti. Anche qui siamo di fronte a un effetto buono e a uno cattivo, il primo è quello di un antipiretico, il secondo quello di un depressivo. In questa fase il secondo sarà nettamente peggiore del primo, accelerando il cammino verso la recessione nell’intera Europa e non solo nell’Ue, vista la stretta interconnessione di tutte le economie.

Dalla Spagna arrivano i primi segnali che la febbre si placa, ma per avere un impatto sulla vita delle famiglie e delle imprese bisognerà attendere quanto meno il primo trimestre del prossimo anno. Ciò vuol dire che l’inverno sarà duro e in queste settimane si sentono già i morsi della crisi. Quindi bisogna fare presto, occorre davvero concentrarsi sulla “priorità delle priorità” e non perdersi in quelli che sono piatti di contorno dell’azione di governo.

Le cifre che circolano finora non sono granché e non sembrano davvero sufficienti ad affrontare l’emergenza attuale. Tra 20 e 30 miliardi di euro, per tre quarti raccolti a debito non sembrano una manovra tale da rimborsare una parte significativa delle perdite di reddito, né da contrastare la caduta della domanda interna e, quindi, bloccare la recessione. Si può fare di più? Ci sono alternative? Bisogna chiederlo alla Ragioneria Generale dello Stato che conosce i gangli della spesa pubblica. È probabile che si possa attingere alla miriade di spese improduttive o che si possa scegliere, di fronte a un’emergenza come l’inflazione, di rivedere le poste di trasferimenti monetari che oggi sono a pioggia. È un cavallo di battaglia di economisti di orientamento diverso come Mario Baldassarri o Pierluigi Ciocca. Chissà se Giorgetti darà loro ascolto per trovare almeno una boccata d’ossigeno. In caso contrario dovrà per forza di cose peggiorare il disavanzo pubblico portandolo tra il 5,5% di quest’anno e il 7,2% del 2021.

Una scelta difficile che andrà discussa anche con la Commissione europea. Sarà molto importante allora capire se giovedì scatterà una buona chimica personale tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, al di là dei convenevoli e del reciproco rispetto. È vero che l’Italia non può essere messa sotto tutela, ma è anche vero che nessuno è un’isola, tanto meno dentro una Unione politica ed economica, soprattutto se sono in ballo le sorti del terzo Paese dell’Ue.

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