Con l’approvazione della Nadef di settimana scorsa, il Governo ha deciso di portare il deficit/Pil di quest’anno al 5,6% liberando risorse che verrano usate per nuovi sostegni a famiglie e imprese contro il caro bollette. Come spiega Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma, “si tratta certamente di una scelta positiva. Di fatto si è riportato il deficit su Pil al valore programmato e promesso al Paese in aprile con il Def, visto che il Governo Draghi, con la sua Nadef, aveva certificato di averlo lasciato al 5,1%. Un errore, quello del precedente Esecutivo, gravissimo e che lascia un rimpianto”.
Perché?
Se avesse mantenuto le sue promesse, portando subito il deficit/Pil al 5,6%, non si sarebbe perso tempo e quasi circa 10 miliardi di euro sarebbero già andati ad arricchire l’economia. Inoltre, è possibile che a fronte di una crisi molto grave come quella in cui ci troviamo l’attuale Governo avrebbe potuto portarlo al 6,1%.
Non poteva comunque alzarlo fino a quella soglia?
Capisce bene che portare il deficit dal 5,6% al 6,1% del Pil è cosa politicamente molto diversa, specie per chi si è appena insediato, che incrementarlo dal 5,1% al 6,1%. Credo dunque che il precedente Governo sia responsabile di un danno notevole nei confronti del Paese cui l’Esecutivo attuale ha potuto solo in parte rimediare. Anche perché con la Nadef approvata la scorsa settimana abbiamo avuto la certezza, nonostante quello che viene ripetuto costantemente, che il Patto di stabilità e il Fiscal compact sono vivi e vegeti.
Da dove si trae questa certezza?
Dal fatto che in una crisi così drammatica, con il Fmi che prevede una recessione dello 0,2% per il 2023, il Governo Meloni si è dovuto sentire in obbligo di rassicurare questa miope Europa portando il deficit al 3% del Pil nel 2025. Dunque, gli operatori economici sanno che nei prossimi tre anni ci saranno manovre austere per far scendere il disavanzo verso quell’obiettivo. Credo sarebbe troppo accusare l’attuale Esecutivo di non aver combattuto, a differenza di suoi predecessori molto ben inseriti nel contesto europeo, il Fiscal compact: è stato portato dall’Europa a commettere questo errore.
Si poteva fare qualcosa di diverso?
Io noto che la somma dei dati sul deficit/Pil della Nadef per il 2022 e il 2023 (rispettivamente 5,6% e 4,5%) è quasi uguale a quella dei medesimi dati contenuti nel Def 2021 (5,9% e 4,3%). Tuttavia, in quest’ultimo documento si prevedeva una crescita del Pil del 4,8% quest’anno e del 2,6% il prossimo, mentre ora si parla di un +3,7% nel 2022 e di un +0,6% nel 2023. Di fatto, il Governo Draghi non ha mantenuto le promesse: l’Italia crescerà di poco più della metà (4,3% contro 7,4%).
Nell’aprile del 2021 non si poteva, però, sapere che ci sarebbe stata una guerra e una crisi energetica…
Vero, ma ricordiamoci che non sono stati messi a terra investimenti nell’ambito del Pnrr per circa 20 miliardi di euro rispetto a quelli preventivati. Si tratta di una cifra pari all’1% di Pil, che con un moltiplicatore pari a 2, visti i tempi di crisi, avrebbe consentito un’ulteriore crescita del 2% che invece il Governo Draghi si è perso per strada.
Questo è così importante per il futuro?
Sì, perché il Governo Meloni si è sentito in dovere, nonostante una crescita quasi dimezzata sul biennio 2022-23 rispetto a quella prevista da Draghi, di attuare le stesse politiche fiscali come se nulla fosse. Invece dovrebbero essere anticicliche. L’attuale Esecutivo sarebbe potuto andare in Europa e spiegare che, in virtù di questa forte riduzione della crescita stimata, bisognava essere autorizzati a un deficit/Pil del 5,5% per il 2023.
Il ministro Giorgetti ha però detto: “Siamo pronti a fronteggiare i rischi di recessione che da più parti vengono evocati”.
È un modo sbagliato di fare politica fiscale: bisogna prevenire le crisi, non seguirle. A fronte dello scenario grave, giustificato anche dalle stime del Fmi, avremmo dovuto fare tutto il possibile per ottenere in Europa un deficit più alto. C’è poi un’altra cosa importante detta dal ministro che credo valga la pena commentare.
Quale?
Giorgetti ha parlato dell’approvazione di misure di spending review del valore di 800 milioni di euro per il 2023. Il problema è che si poteva fare di più e meglio per trovare risorse utili ad aiutare l’economia senza aumentare il deficit o le tasse. Tutti i dati ci dicono, infatti, che gli sprechi negli appalti ammontano a circa 60 miliardi l’anno. Si immagini cosa potremmo fare con quelle risorse: finanziare investimenti pubblici che rimetterebbero in carreggiata il Paese.
Come si fa a recuperare una cifra così importante?
Tramite la madre di tutte le riforme, una seria spending review, che richiede un’organizzazione forte e precisa, una rivoluzione delle stazioni appaltanti tramite assunzione di persone di qualità, spendendo certo molte risorse, ma che possono portare a risparmi dieci volte superiori. Invece si è semplicemente chiesto a dei burocrati di tagliare spese a caso fino ad arrivare alla soglia di 800 milioni di euro. Penso che si poteva fare di più e che siamo ancora in tempo per fare di più, anche perché questo Governo ha la coesione e la determinazione più di altri per poterci riuscire. Serve una politica fiscale espansiva che generi crescita e conseguente abbattimento del rapporto debito/Pil e una lotta senza tregua agli sprechi con un’organizzazione sofisticatissima solo a questo dedicata.
Una svolta che si può fare subito?
Penso che la materia vada tolta dalle grinfie del ministero dell’Economia e delle Finanze e presa in mano da Giorgia Meloni, con la creazione di una struttura a palazzo Chigi che faccia riferimento direttamente a lei, che possa coordinare la riforma, con la riqualificazione delle stazioni appaltanti a livello provinciale e l’assunzione di personale di grandissima capacità, e rispondere poi dei risultati affinché si possa finanziare ulteriore spesa che sostenga l’economia.
Un’ultima cosa: da quanto ha detto prima sembra non si possa essere molto fiduciosi sulla proposta di riforma del Patto di stabilità che la Commissione europea dovrebbe presentare domani (oggi per chi legge, ndr)…
L’idea che si centralizzi ancora di più in Europa la politica fiscale è certamente dannosa. Credo che il Governo, visto che si è appena insediato, possa chiedere, a costo anche di porre il veto, di studiare e capire bene la proposta della Commissione senza approvarla a scatola chiusa.
(Lorenzo Torrisi)
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