Non è facile trovare un Governo in affanno come quello di Giorgia Meloni, tra difficoltà economiche di ogni genere, questioni sociali drammatiche, che sembrano strutturali in diverse zone del Paese, e una situazione internazionale geopolitica tanto complicata, con sullo sfondo l’ormai lunga guerra in Ucraina.
Il conflitto successivo all’invasione russa del 24 febbraio 2022 pare al momento irrisolvibile e si incrocia con le crisi di quasi tutti i Paesi del mondo, ma soprattutto incombe direttamente sull’Europa, secondo alcuni addirittura sull’esistenza futura della stessa Europa.
Alcuni giorni fa, uno dei maggiori analisti della geopolitica mondiale poneva tre domande sulla questione ucraina: una vittoria dell’Ucraina? Si può ritenere impossibile. Una vittoria della Russia? Anche questa è realisticamente impossibile per diverse situazioni internazionali. Una soluzione coreana? Cioè non una pace, ma un “cessate il fuoco” che può durare tanti anni come sta avvenendo ancora adesso in Corea a partire dagli anni Cinquanta del Novecento? Forse la terza potrebbe essere una soluzione percorribile, ma quanto potrebbe durare in una situazione internazionale come quella attuale, molto differente dai primi anni della Guerra fredda con due potenze egemoni?
Si può partire da questa considerazione, e alla luce della spaccatura che è avvenuta al G20, per comprendere anche l’incertezza e l’immobilismo che sta vivendo oggi l’Italia. L’atlantismo resta il principio guida, ma come coltivare i rapporti con altri Paesi? Come realizzare un “Piano Mattei” per l’Africa che non riguarda solo la questione dei migranti ma un ruolo futuro per l’Italia?
Siamo partiti da queste considerazioni internazionali, perché paradossalmente, nella loro drammaticità, riparano un poco il governo di Giorgia Meloni dall’insoddisfazione che da un anno gli italiani stanno soffrendo. L’elenco delle criticità è lungo e dettagliato e parte ovviamente da una insicurezza generale, con diverse voci, ma che ha come punti di partenza il lavoro e la situazione economica.
Nel momento in cui il Governo deve mettere mano al bilancio dello Stato, la parola d’ordine è il “rigore”, la cosiddetta “coperta corta”, insomma l’impossibilità di spesa. A cui si aggiungono le incertezze nella realizzazione piena del Pnrr, cioè del piano di ripresa e resilienza.
In sostanza l’impossibilità di onorare le promesse che il Governo di centrodestra aveva messo sul tavolo un anno fa, quando conquistò la maggioranza in Parlamento e formò l’esecutivo.
Se si dovesse fare un bilancio tra promesse e possibili realizzazioni, non si potrebbe che trarne un giudizio molto negativo. Il fatto di non poter realizzare le promesse elettorali può essere spiegato in molti modi e non c’è dubbio che proprio la situazione mondiale abbia un peso decisivo. Ma una maggioranza di governo dotata di un buon senso politico poteva anche immaginare una scenario come quello attuale considerando quello che maturava continuamente già un anno fa.
Si può aggiungere che, valutando gli ultimi venti anni di politica italiana, con una crescita tra le più basse in Europa, bisognava forse impostare una campagna elettorale sul risanamento e su un programma di tentativo di rilancio in alcuni settori piuttosto che sulle promesse.
In realtà il problema reale è che ormai una visione strategica dei problemi del Paese non si vede più da anni in Italia. Da quanto tempo nel Belpaese non si fanno più congressi periodici, comitati centrali, direttivi, riunioni nazionali o convegni nazionali per stabilire una linea politica dopo aver analizzato la realtà ed essersi confrontati all’interno di un partito?
Guarda caso da quel fatidico 1992, quando la politica in Italia fu espulsa da alleanze composite che interessavano alcune corporazioni dirette da una complicata “struttura” di “capitani di sventura” che era la padrona dei mass media e offriva la sua collaborazione “spassionata” alla magistratura più retrograda del mondo.
Dopo quel “polverone”, in nome di un neoliberismo che si è rivelato catastrofico, restavano in pista post-comunisti e post-fascisti, più la variante berlusconiana che ha creato solo confusione e, negli anni in cui ha governato, non ha risolto nulla.
Non bisogna mai dimenticare che l’Italia è ammalata di un’altra anomalia: i cosiddetti governi tecnici. Ne ha avuti quattro in trent’anni. Dini, Ciampi, Monti, Draghi. Insomma, si può concludere dicendo che la politica in Italia sia andata veramente in vacanza per lungo tempo e forse, senza saperlo, ci resta ancora. Quindi linee politiche e congressi possono andare in soffitta.
Non c’è da stupirsi di conseguenza se oggi un governo politico di centrodestra faccia promesse che non è in grado di mantenere e si veda compatto solo nella tenuta elettorale ma diviso su diversi argomenti al suo interno.
Tuttavia c’è un fatto che si può definire incredibile per questa Italia, la cui repubblica dovrebbe essere ormai alla sua terza o quarta “edizione”. Di fronte a una maggioranza che deve ammainare bandiera, di fronte alle promesse fatte in campagna elettorale, dopo un anno questo Governo è ancora largamente maggioritario come se la cosiddetta” luna di miele” non fosse mai finita.
Sono abbastanza impressionanti gli ultimi sondaggi di questa settimana. Giorgia Meloni ha perso da due o tre punti di popolarità, ma e sempre largamente in testa rispetto agli altri leader e il suo partito è sempre vicino al 30 per cento, pur avendo perso due punti.
Di fronte a questa tenuta, il maggior partito di opposizione, il Pd, ha guadagnato un decimale nell’ultimo sondaggio: lo 0,1 per cento. Ma soprattutto, il famoso “effetto Schlein” sembra una chimera rispetto a quello che accade nel partito e nell’opposizione in generale.
Proprio in questi giorni una trentina di esponenti liguri del Pd hanno aderito al partito di Carlo Calenda e alcuni giorni fa, mentre il governatore della Campania Vincenzo De Luca non risparmiava “bordate” alla segretaria, Nicola Zingaretti non smentiva una dichiarazione fatta ai giornalisti di questo tipo: “Con questa non arriviamo al 17 per cento alle prossime europee”. Insomma, un clima tutt’altro che compatto all’interno del partito che dovrebbe guidare l’opposizione.
Ma in fondo questo è solo un aspetto della squinternata contrapposizione alla maggioranza. Il leader dei 5 Stelle Giuseppe Conte sembra bersagliato non solo dalla Meloni e dal ministro Giancarlo Giorgetti per i guai al bilancio che si sono creati con il varo del “superbonus”. Lo stesso Conte tende a distinguersi nell’opposizione del Pd, quasi tentando di insidiargli il secondo posto alle prossime elezioni europee.
E tutto questo non basta. Se il clima nel Pd è teso, se Conte si dimostra un leader di basso profilo, nell’opposizione permangono le “baruffe chiozzotte” tra Calenda e Renzi, oltre ai numeri bassi degli altri contendenti che difficilmente alle elezioni europee possono ottenere un seggio.
Il tutto avviene tra discussioni su libri e interpretazioni di stragi passate. Parole dette in modo sbagliato che procurano a scrittori sgangherati la palma del “best seller”, a figure non proprio edificanti le ricostruzioni fatte da uomini politici sulle stragi e a pure polemiche inutili puntualizzazioni su fascismo e antifascismo.
Di fronte a un simile spettacolo e in una simile situazione politica, a volte viene da pensare che il miglior alleato della Meloni sia questa opposizione divisa, quasi farsesca. Forse proprio a questa opposizione da farsa bisognerebbe far leggere un libretto di Karl Marx, Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte. Chissà che i cosiddetti leader di questa nuova sinistra non imparino qualche cosa di politico.
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