Oggi, 27 settembre il Consiglio dei ministri esamina la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Nadef). Il documento, di cui in serata si conoscerà il testo, contiene il quadro dei conti pubblici aggiornato e con le prime linee macroeconomiche che indicano i margini della manovra di bilancio. È, quindi, il primo dei testi che porteranno alla formulazione della Legge di bilancio.



Il consiglio è di leggerlo con maggiore attenzione rispetto a quella con cui la settimana scorsa numerose testate hanno esaminato il rapporto Ocse sulle previsioni economiche per il gruppo dei Paesi industrializzati e le relazioni presentate all’assemblea della Confindustria, testi che sono stati accolti stappando bottiglie di champagne e interpretandoli come si fosse usciti dal tunnel della pandemia e dell’incertezza economica e si fosse tornati se non a un nuovo “miracolo economico” almeno sulla strada di una ripresa solida e duratura. Gli indici di fiducia delle famiglie e delle imprese pubblicati dall’Istat il 24 settembre riflettono anch’essi un notevole ottimismo.



Attenzione, una dose di ottimismo è essenziale per rimettere l’Italia in cammino, ma occorre essere consapevoli che un tasso di crescita del Pil del 6% per l’anno in corso non ci riporta ai livelli a cui eravamo nel 2019 e che ci vorrà almeno un altro anno per tornare il reddito pro-capite pre-pandemia. Inoltre, l’emergenza sanitaria ha aggravato i divari sociali, resi più acuti i problemi occupazionali (specialmente per i giovani) e i segni di aumento della produzione (conseguenza, in gran misura, di una politica monetaria e di bilancio molto stimolante – politica che non potrà essere protratta a lungo) non riflettono ancora alcun incremento della produttività, il vero “male oscuro” dell’economia italiana da oltre un quarto di secolo.



Andiamo al rapporto Ocse che è stato salutato come la “bollinatura” della fine della crisi. Già il sottotitolo è eloquente: Keeping Recovery on Track, ossia Mantenere la Ripresa sul Giusto Binario. Sin dal primo grafico, l’Italia appare come un Paese la cui crescita nel 2021 (stimata al 5,9%) rischia uno scivolone già nel 2022 (4,1%) anche nell’eventualità di un andamento sostenuto dell’economia internazionale ed europea e nell’ipotesi che le riforme del Piano nazionale di ripresa e resilienza siano “vere” e non posticce e vengano attuate puntualmente – in effetti, gli effetti delle riforme sul “male oscuro” (la produttività) non si avvertono immediatamente ma gradualmente.

Il futuro a breve e medio termine dell’Europa (e quindi dell’Italia) dipende in gran misura dalle politiche che la coalizione che uscirà dalle elezioni tenute ieri nella Repubblica federale tedesca vorrà e potrà attuare. I 16 anni del Cancellierato di Angela Merkel hanno correttamente dato la priorità al superamento delle crisi (quella dell’euro nel 2010-11, quella migratoria nel 2018, quella della pandemia iniziata nel 2020) e all’assicurare stabilità. La stabilità degli ultimi 16 anni è stata, però, a spese del futuro. La Germania ha un parco di infrastrutture fatiscente come sa chiunque guida sulle autostrade tedesche in estate, un sistema di istruzione essenzialmente rimasto ciò che era alla fine dello scorso millennio, la decisione veloce (d’impeto dopo l’incidente di Fukushima) di chiudere le centrali nucleari sta innescando un aumento dei costi di produzione, il Paese sta perdendo punti in materia di digitalizzazione (dal 2016 al 2020 è passato dal 15simo al 18simo posto in graduatoria, secondo l’Institute for Management Development di Losanna). Ci vorranno due-tre mesi di negoziati perché la coalizione metta a punto un “contratto di governo”, sulla cui base azzardare previsioni su come questi e altri problemi verranno affrontati dalla Repubblica Federale e quali saranno i riflessi sul resto dell’Unione europea in generale e sull’Italia in particolare.

Andiamo, poi, alle riforme del nostro Pnrr. Un primo rapporto della struttura di valutazione e monitoraggio è stato presentato al Consiglio dei ministri il 23 settembre: sono 16 pagine stringate che vale la pena di leggere con attenzione. Ne esce un quadro da cui si evince che le riforme relativamente facili e soprattutto affidate a Ministri dinamici stanno seguendo il cronoprogramma concordato con l’Ue, mentre altre – si pensi a quella tributaria – sono ancora in alto mare.

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