È finalmente uscito l'”aggiornamento del Programma elettorale del Partito Democratico”. Una prima versione era circolata tra gli “addetti ai lavori”, ma era stata prontamente ritirata quando Azione, il partito creato e guidato da Carlo Calenda, era uscito dal groviglio di accordi elettorali pensati ai piani alti del Nazareno. È circolata una raffinata brochure, ma nell’arco di un paio di giorni ci si è accorti che era quella predisposta per la campagna elettorale del 2018; con la maestria di chi ha studiato al Liceo Galileo Galilei di Pisa, è stata fatta sparire nel giro di 24 ore.
Ho avuto modo unicamente di scorrere la prima versione. Questo “aggiornamento” è chiaramente molto più orientato a quello che veniva chiamato “il campo largo”, ossia un’alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle. Al Nazareno si spera che possa essere il risultato delle elezioni del 25 settembre. Se il “terzo polo” (Calenda-Renzi) porta via voti ai moderati e ai centristi della coalizione di centrodestra, potrebbe verificarsi che i sondaggi siano saragattaniamente “cinici e bari” per il centrodestra. Offrendo qualche posto di sottosegretario, si arriverebbe tra Pd, M5S e rimasugli a un “campo largo” con cui governare l’Italia per cinque anni, cambiare la legge elettorale ed essere felici e contenti per diversi anni (e legislature).
Ma andiamo al programma quale aggiornato e messo on line la sera tra il 16 e il 17 agosto. È un documento di 66 pagine, denso di citazioni (da David Sassoli a Papa Francesco), e scritto con l’eleganza da cui si sente il manzoniano “risciacquo in Arno”, pur se a Pisa piuttosto che a Firenze.
Il programma ha tre pilastri: 1) Sviluppo sostenibile e transizioni ecologica e digitale; 2) Lavoro, conoscenza e giustizia sociale; 3) Diritti e cittadinanza. I tre pilastri vengono inseriti in una cornice: quella di un’Unione europea in cui l’Italia dovrebbe avere sempre maggior voce in capitolo. Da ciascun pilastro emergono proposte di azioni legislative.
Qui sorgono i problemi. L’enfasi – sarebbe meglio dire l’obiettivo principale dell’azione legislativa – è sulla spesa (tra l’altro si propone di istituire nuovi enti pubblici), ma non si dice come sarà finanziata. Ci sono cenni a un’imposizione minima globale sulle aziende multinazionali (ma è già da anni in discussione in sede Ocse dove l’Italia è unicamente uno dei 38 Stati membri), a resuscitare quella che viene giornalisticamente chiamata la “tassa sul morto” (per le successioni di chi ha un patrimonio sopra i 5 milioni di euro) per farne una “imposta di scopo” con il fine di elargire 10.000 euro a ciascun diciottenne al compimento degli anni (idea sonoramente bocciata da Mario Draghi nella veste di presidente del Consiglio). Si conta quasi interamente su risultati positivi in materia di lotta all’evasione. Viene spontaneo chiedersi: pur non avendo mai vinto le elezioni, negli ultimi dieci anni e passa, il Pd è stato al Governo e lo è stato con ministri dell’Economia e delle Finanze a lui affiliati; se non sono riusciti ad avere successo alla lotta all’evasione sinora, cosa ci dice che lo saranno in futuro?
Il programma contiene poco in materia di crescita – in pratica la si affida al Piano nazionale di ripresa e resilienza (con la speranza che dopo l’attuale, l’Ue ne finanzi un altro) -, ma molto, moltissimo in termini di riduzione della diseguaglianze e dell’estensione di diritti agli immigrati e alla comunità LGBT (che pare sia una vera e propria armata elettorale). Non mancano buone idee: come quella della “pensione di garanzia” per i giovani che entrano tardi nel mercato del lavoro, hanno a lungo bassi stipendi e con il metodo contributivo sono “condannati” a pensione povere; ma perché non riprendere la proposta di legge Cazzola (presentata alla Camera) e Treu (presentata al Senato) del dicembre 2009 che trattava della materia in modo organico?
Ci sono due perle che mostrano a tutto tondo il legame del Ps con il M5S. La prima riguarda il Reddito di cittadinanza (ormai ritenuto universalmente dannoso e criminogeno): si propone di “rivederlo” per estenderne la copertura. La seconda l’Italia in Europa. Citiamo il testo: L’Italia deve essere leader nella riforma del Patto di Stabilità verso un nuovo Patto di Sostenibilità, che coniughi attenzione ai conti pubblici e promozione degli investimenti necessari a sostenere transizione ecologica e sviluppo. In questo nuovo quadro, le regole di riduzione del debito dovranno essere parametrate al contesto di ogni singolo Paese, così da non compromettere la crescita e non ripetere gli errori del passato. Quindi sostituire il Patto di Stabilità con Patti di Sostenibilità fatti su misura di ciascun dei 27 Stati membri. Una vecchia proposta di economisti della Lega di cui il M5S si è appropriato all’inizio della legislatura che sta terminando. Ove mai venisse accolta, il giorno dopo, altri Stati membri chiederebbero Patti simili per la giustizia, la libertà di stampa, la scuola e quant’altro. Sarebbe la fine non solo dell’unione monetaria, ma dell’Ue.
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