Il mercato azionario americano dall’inizio dell’anno, in meno di due mesi, è salito del 7% e la performance rispetto a dodici mesi fa è superiore al 25%; l’indice viaggia ai massimi di sempre. Il listino italiano, una frazione del suo lontano parente americano, sale di quasi l’8% rispetto a gennaio e di oltre il 20% rispetto a dodici mesi fa. Queste performance contribuiscono a sostenere l’economia, alimentano un effetto ricchezza che si riflette sulle condizioni finanziarie di chi è esposto ai listini; probabilmente indicano anche che le condizioni finanziarie non sono particolarmente restrittive, almeno per quella parte di economia che sta sui mercati oppure che non lo sono ancora.



La performance dei listini alimenta una percezione di salute dell’economia che nel caso americano passa anche da un mercato del lavoro positivo e da un’industria che beneficia del ritorno in patria di alcune produzioni a discapito, per esempio, dell’Europa. L’America politicamente è già proiettata alle elezioni presidenziali di novembre e le primarie americane stanno per entrare nel vivo. L’economia, molto più di quello che succede in Ucraina o in Israele, determinerà le scelte degli elettori.



Leggere lo scenario guardando i “soliti” dati rischia di non essere sufficiente. Il listino azionario è uno degli elementi che devono essere maneggiati con cura. I listini che salgono non hanno lo stesso effetto su tutti; chi ha molti risparmi investiti in azioni ne beneficia molto, per chi non ne ha invece l’effetto è nullo. Lo squilibrio che si crea, l’effetto ricchezza che premia più che proporzionalmente le fasce di reddito più alte alimenta i prezzi, pensiamo alle case, di tutti. Chi è fuori dai listini è penalizzato due volte perché subisce un rialzo dei prezzi a cui non può far fronte.



Il tema nel 2024 è particolarmente sensibile perché anche l’inflazione degli ultimi due anni ha avuto effetti molto diversi sul potere d’acquisto dei salari a seconda delle fasce di reddito. Chi non è stato premiato dai listini che salgono rimane a fare i conti con un’inflazione cumulata sugli alimentari che è ampiamente in doppia cifra.

C’è, “sotto” le statistiche ufficiali, una parte di popolazione i cui problemi e le cui vicende sono dimenticate e che è difficile vedere dietro la luce dei listini. È, in qualche modo, la ripetizione della fase che si è aperta dopo il fallimento di Lehman. Il recupero, anche degli indici, iniziato nella primavera del 2009 ha lasciato indietro ampi strati di popolazione. Il risultato, dopo otto anni, è stata la traumatica vittoria di Trump.

I listini che salgono, dal punto di vista politico, sono un fattore difficile da leggere; alimentano l’economia e un clima di ottimismo in un modo che non è “neutrale”, che non vale per tutti. Producono, per esempio, un’inflazione che è neutrale per chi ha risparmi investiti in azioni e negativa per chi non li ha. I listini che salgono fanno bene alla percezione politica del Presidente in carica a meno che non salgano troppo in un contesto in cui l’inflazione ha già scavato divari tra le diverse fasce di reddito. In questo secondo caso alimentano una delusione e una volontà di rivincita che emerge alla fine, anche in modo disordinato, nelle urne.

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