In un lungo articolo on line sul Corriere della Serra Luca Angelini si è soffermato sul previsto voto dei giovani europei alle prossime elezioni europee di sabato 8 e domenica 9 giugno denunciando con toni allarmati che buona parte dei nuovi elettori o non andrà a votare o voterà per l’estrema destra. Seguono sondaggi “inquietanti” con un 36% dei giovanissimi francesi che voterebbero per la Le Pen, così come i loro coetanei olandesi, romeni, e il 22% addirittura per l’AfD in odore di neonazismo tedesco. I numeri darebbero ancora i verdi come primo partito “giovane” ma in netto calo rispetto al passato, mentre a destra la crescita sarebbe prorompente.
Seguono una serie di interviste più o meno scandalizzate sulle motivazioni di questo voto. “Si tratta di ribellione, trasgressione, provocazione – spiega Steven Forti, professore di storia contemporanea all’Università di Barcellona –. Dicono (i rappresentanti dell’ultra destra, ndr) che stanno combattendo l’egemonia culturale dei liberal di sinistra, e ci sono molti giovani che credono in questa narrazione. Soprattutto i giovani maschi, molti dei quali si sentono evirati dal femminismo”.
Nessuno sembra chiedersi però se per caso questa percezione sia almeno in parte giustificata. Questa autocritica non c’è mai, partendo dal presupposto che chi vota a destra “sbaglia” e quindi vada “corretto”, senza prendere nemmeno in considerazione che a sbagliare siano invece le politiche europee su molte questioni d’attualità. Non si capisce – se le cose continuassero a livello politico come in questi anni in Europa – come mai dovrebbe poi esserci un’inversione di tendenza, visto che la percezione delle priorità è cambiata.
Per esempio, secondo uno studio promosso dal Financial Times i giovani tedeschi tra i 14 e i 29 anni solo due anni fa avevano come percezione maggiore il cambiamento climatico, un tema oggi nettamente superato dai timori per l’inflazione e la crisi economica, con il timore di non poter avere una pensione alla fine dell’età lavorativa. Anche l’aumento di migranti e rifugiati è in grande ascesa fra le questioni ansiogene dei giovani tedeschi. “La giovane generazione è davvero pessimista – sottolinea Simon Schnetzer, coautore dello studio – con la sensazione di non avere abbastanza soldi e di non essere in grado di mantenere il proprio standard di vita. Sull’immigrazione una volta si diceva: “Non m’importa, perché me la passo bene”, ma adesso tutti sono meno sicuri dal punto di vista finanziario. Questo li rende più ricettivi al messaggio dell’AfD, ovvero che il governo abbia perso il controllo della situazione”.
Lo stesso sembra avvenire in Italia e in Spagna, mentre in Romania il 25% dei giovani tra i 18 e i 35 anni che intendono votare alle prossime elezioni europee sosterrà la formazione di estrema destra Alleanza per l’Unione dei Romeni (Aur), una percentuale più alta rispetto a qualsiasi altro partito. L’Aur vuole unificare tutti i parlanti rumeni — ad esempio quelli della Moldavia — in una “Grande Romania”. La maggioranza dei giovani rumeni criticano però anche il sostegno militare di Bucarest all’Ucraina e si scagliano contro “l’ideologia gender” e l’ateismo. Solo il 23% dei giovani ha fiducia nella democrazia rumena e il 67% ha preso in considerazione l’ipotesi di lasciare il Paese.
I temi sollevati dall’inchiesta inglese sono ripresi anche da Le Monde, che si è occupato a lungo dei giovani che voteranno Jordan Bardella, il ventottenne che Marine Le Pen ha scelto come guida del Rassemblement National. “Alcuni di questi giovani — scrive il quotidiano francese — appartenenti in genere a categorie popolari, raccontano il sentimento di un ‘orgoglio ritrovato’, la speranza di essere finalmente considerati per quello che sono e fanno, in territori che si sentono trascurati dallo Stato e dai leader politici”. “Le precedenti elezioni hanno dimostrato che i giovani francesi attratti dall’estrema destra sono tra i più precari, i meno istruiti, spesso residenti in aree rurali o periferiche e da questo punto di vista, il fatto che Bardella sia cresciuto nella banlieue parigina di Seine-Saint Denis lo fa sentire uno di loro”.
Ma se questa è la fotografia dell’esistente, se è questo che si prepara per le prossime elezioni europee, come e perché si è giunti a questo punto? È qui che manca nei commenti un’autocritica alla realtà di Bruxelles, ma anche una proposta per un cambio di rotta. Se i governi insistono a considerare la BCE il “dominus” della politica, se manca trasparenza, se il problema immigrazione non viene regolato, se – in definitiva – i problemi dei giovani (e non certo solo di quelli che voteranno a destra) non vengono sufficientemente affrontati, perché stupirsi degli effetti e non volerne capire le cause? Forse perché a Bruxelles interessa poco il voto giovanile (o che i giovani non votino più) perché sono altri sono gli interessi e gli obiettivi, soprattutto economici. C’ è una grande verità che le istituzioni europee non ammettono: persi gli ideali e molte delle speranze dei fondatori, “il re è nudo”, tanto che non solo i giovani si pongono la domanda se, visto il futuro incerto, non sarebbe meglio guardare al passato, quello che aveva espresso il boom economico, la stabilità, l’omogeneità etnica. È una tentazione, ma soprattutto è una sconfitta degli ultimi 20 anni di politica europea.
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