Di fronte a un’Europa smarrita, in forte crisi di identità, c’è soprattutto la necessità di ritrovare un orizzonte ideale che metta l’urgenza della pace al primo posto. Ieri sono stati ricordati i vent’anni dall’allargamento a est dell’Unione europea, che nel 2004 faceva sperare in un futuro di grande collaborazione. Adesso, sempre a est, una guerra devastante ai confini dell’Unione allarma per le sue conseguenze imprevedibili. Prende le mosse da questo scenario di smarrimento il volantino che la Compagnia delle Opere ha preparato in vista delle prossime elezioni europee e che sarà al centro di incontri e momenti di dibattito in queste settimane. «Non è un documento conclusivo, né una ricetta per tutti i temi – spiega il Presidente nazionale della Cdo Andrea Dellabianca -. È anzitutto un invito a un lavoro che parte dalla condizione prioritaria per qualunque opera di costruzione: quella della pace».
Avete indicato l’urgenza della pace come questione centrale, quasi discriminante per il futuro dell’Europa, prima di ogni altro tema. Si gioca veramente qui la sopravvivenza dell’Unione europea?
Il pericolo di un’escalation del conflitto in Ucraina, quindi nel cuore dell’Europa, non è purtroppo un’ipotesi remota, visto anche come si sta muovendo la Russia. Il rischio è altissimo, per questo sostenere la posizione, finora inascoltata, del Papa che continua a chiedere un intervento per la pace credo sia oggi l’urgenza principale. Del resto l’Europa è nata così, quando dopo il disastro della guerra i padri fondatori hanno messo allo stesso tavolo vincitori e vinti. Hanno avuto questo ardire e, da lì, hanno dato inizio a forme di collaborazione a livello economico che però avevano come origine e spunto quello di assicurare una pace stabile e duratura a Paesi che fino a pochi anni prima si erano combattuti.
In Europa però c’è chi, come il Presidente Macron, sostiene la necessità di armarsi e di intervenire nel conflitto in corso. C’è un deficit di cultura e di visione che ha portato l’Europa a smarrire ciò che è stato all’origine del suo percorso di costruzione?
L’economia, che all’inizio era stata il terreno su cui consolidare la volontà di pace dei Paesi fondatori dell’Europa, ha di fatto fagocitato tutto il resto. Il tema della stabilità della pace era fondato su un’idea di persona come soggetto in relazione. Questo è il presupposto per sviluppare una politica che ha nel dialogo lo strumento principale per cercare e costruire risposte anche a livello strategico. La reazione di difesa giusta e immediata a sostegno dell’Ucraina dopo l’invasione russa non può perciò adesso tradursi in un’ipotesi di riarmo europeo generalizzato come unica opzione.
All’origine dell’Unione europea ci fu anche il progetto mai realizzato di una Comunità europea di difesa. Oggi si torna a parlarne…
Nel panorama geopolitico di oggi questo è un percorso quasi inevitabile, ma non può essere il terreno sul quale si può costruire l’Europa.
Come si può umanizzare il primato dell’economia che impropriamente ha preso il sopravvento nell’Unione europea?
Vorrei tornare all’idea di persona come relazione che tiene insieme tutti i fattori politici, culturali, economici che costituiscono la vita personale e sociale. Questa idea è stata gradualmente sostituita da quella di individuo. Un individuo peraltro molto frammentato, quindi fragile e facilmente manipolabile. E quando è così fragile ad avere il sopravvento non sono più le persone o le loro aggregazioni, ma le tecnocrazie o i poteri tecnologici. La specificità della persona, le diversità delle comunità e dei popoli non contano più. Si progettano dall’alto “soluzioni ottimali” da applicare a tutti. Guardiamo alle politiche agroalimentari o a quelle ambientali. Non si può pensare che la transizione ecologica abbia lo stesso impatto in Svezia e in Italia. Ci sono differenze territoriali, abitative, di approvvigionamenti di energia, che vanno considerate. Occorre perciò ripartire dal motto dell’Unione europea che è “unità nella diversità”, tenendo conto delle molteplici realtà che la costituiscono e che ne sono la vera ricchezza, e favorendone la cooperazione.
Il potere delle tecnocrazie, che è andato sempre più consolidandosi, come e da chi può essere contrastato?
Ad esempio con le nostre scelte al momento del voto. Se siamo convinti che la concezione della persona a cui facevo riferimento è un fattore fondamentale per una ripresa politica e di sviluppo corretta, bisogna anche verificare chi nella prova elettorale è pronto a sostenerla. Può sembrare una guerra persa in partenza, ma sono convinto che ci sia ancora spazio per affermare una prospettiva diversa. Anche solo raccontare o porre in primo piano gli esempi che vediamo quotidianamente di imprese, di scuole, di educazione, di sviluppo che mettono al centro le persone, significa fare la nostra parte. Faccio un esempio: oggi si parla molto dei criteri ESG, cioè di come un un’attività economica deve valorizzare il territorio in cui opera, e quindi contribuire a livello ambientale, sociale e di governo. Può sembrare un qualcosa di astratto, di procedurale, ma credo possa essere anche un’opportunità inedita per riempire questi spazi di contenuti veri che favoriscano una ripresa di valori non progettati a tavolino, ma corrispondenti all’esperienza reale delle persone e delle imprese.
La partita insomma non è chiusa…
Tutt’altro, la speranza di poter costruire c’è sempre, altrimenti verrebbe meno qualunque tentativo. Nel 1948, quando sono state gettate le basi del processo di integrazione europea, i padri fondatori avevano talmente tante macerie attorno che pensare all’Europa unita poteva sembrare un sogno impossibile. Invece almeno in parte si è realizzato. Oggi siamo circondati da macerie che sono soprattutto di concezione dell’uomo e quindi dobbiamo avere la capacità di una ricostruzione che parta sicuramente dall’impegno di tutti secondo una logica di sussidiarietà. Questo passa anche dalla necessità che in chi ci governa ci sia una passione ideale. In tale prospettiva le elezioni sono un appuntamento decisivo per poter scegliere. Se pensassimo che non c’è più nulla da fare, è evidente che anche il voto diventerebbe secondario, se non inutile.
Aspetto non marginale, diversamente dalle elezioni politiche, alle europee è possibile esprimere il voto di preferenza ai candidati…
È importantissimo, spesso ci lamentiamo di trovare sulla scheda elettorale candidati preconfezionati dai partiti. Il voto di preferenza offre invece la possibilità di intercettare persone all’interno dei diversi partiti che possano avere un orizzonte ideale e che mettano in campo un impegno vero dentro le istituzioni europee. È chiaro che si suppone che ci sia una coerenza fra la posizione ideale dei singoli candidati e quella del partito per il quale sono in lista. Aver la possibilità di esprimere la preferenza richiede un impegno da parte di noi elettori nel conoscere e nel valutare i diversi candidati.
Parlate di Europa dei popoli, esiste ancora o è stata spazzata via dai processi di omologazione e di appiattimento a favore delle tecnocrazie?
Sottotraccia c’è, magari non sempre ha voce, talvolta se ne colgono i segni anche dentro manifestazioni dagli accenti molto critici verso le istituzioni europee come quelle dei trattori che abbiamo visto a Bruxelles nei mesi scorsi. Però dobbiamo avere la capacità di mostrare con altrettanta forza un’Europa dei popoli che costruisce, che abbia a cuore la crescita dei giovani, lo sviluppo educativo, l’affermazione di una società caratterizzata dal quel respiro ideale di cui ho detto prima. Questo c’è, deve solo tornare a esprimersi in modo nuovo, creativo e interessante. Realtà come la Compagnia delle Opere hanno tale compito. Penso anche alle tante aziende che si stanno organizzando in filiere per affrontare, per esempio, le novità introdotte dai regolamenti europei che cambiano un po’ le regole del gioco. Di fronte a questi cambiamenti sta emergendo anche tanta creatività e fecondità. Sono segnali di ricostruzione.
Nel vostro volantino c’è un passaggio dedicato espressamente all’intelligenza artificiale. Come valutate le mosse dell’Unione europea su questo fronte con l’adozione dell’AI Act?
L’Unione europea è stata la prima al mondo ad affrontare il tema di una regolamentazione dell’Intelligenza artificiale e bene ha fatto. Sono temi di cui tutti parliamo soprattutto per l’impatto che sono destinati ad avere sul nostro rapporto con il lavoro, con le cose, con le informazioni. Vorrei però sottolineare che prima di tutto ciascuno di noi ha un intelletto da mettere in campo per far sì che questo strumento possa essere utile a un percorso di crescita e possa essere nelle nostre mani e non viceversa. Questo richiede un’azione di lavoro e di impegno, la paura non serve a nulla. Sicuramente è un tema che non va lasciato nelle mani dei grandi gruppi tecnologici che tendono a sfuggire a ogni regola e che già oggi controllano importanti componenti dell’economia e della finanza, andando ben oltre il potere dei Governi e degli Stati.
(Piergiorgio Chiarini)
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