Ieri la Commissione europea ha presentato una strategia comune che “fissa una visione di lungo termine per raggiungere una preparazione industriale nella difesa nell’Unione Europea”. Tale strategia prevede quattro azioni; la prima è “investire di più, meglio, insieme ed europeo”. La decisione prende le mosse da una constatazione fissata nelle prime due righe del comunicato che appare sul sito della Commissione: “con l’ingiustificata guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina, un conflitto ad alta intensità è tornato nel nostro continente”.



Tra tre mesi si terranno le elezioni europee che in teoria potrebbero rivoluzionare la mappa politica del continente e anche la Commissione e il suo Presidente. La marcia dell’Unione verso maggiori investimenti nella difesa, decisi a Bruxelles, appare invece come l’applicazione tecnica di un piano inevitabile, la necessaria conseguenza, appunto, di una premessa indiscutibile, quel “conflitto ad alta intensità tornato nel nostro continente”.



Nella campagna elettorale che si appresta a entrare nel vivo c’è un altro tema a cui si riserva lo stesso trattamento e cioè i tempi e i modi della “rivoluzione energetica”.

Stranamente, tuttavia, i due temi che influiscono maggiormente sulle finanze delle famiglie europee non fanno parte della campagna elettorale, forse nella convinzione che i soldi investiti siano “gratis”.

Ma i soldi per la difesa, soprattutto se si misurano in punti di Pil, non sono gratis. Trovano spazio nei bilanci statali a discapito di altre voci, competono con altri settori nell’acquisto di materie prime o nella raccolta del risparmio. Anche se la Bce stampasse i soldi necessari, le conseguenze sui prezzi di tutto il resto rimarrebbero, con il risultato che i carri armati sarebbero particolarmente economici e i frigoriferi particolarmente costosi.



Riguardo alla transizione energetica, Arera calcola che nel 2022 i costi derivanti dall’incentivazione delle fonti rinnovabili in Italia siano stati pari a 6,4 miliardi di euro; circa 16 ospedali nuovi oppure 110 euro all’anno per italiano. Questo in un anno, in cui, causa aumento dei prezzi energetici, gli incentivi sono stati particolarmente bassi e senza considerare la tassa sulla CO2 o i maggiori costi dell’energia imposti al sistema. Qualsiasi nuovo balzo in avanti dell’Unione è destinato a cambiare questi numeri al rialzo. Ciò nonostante, anche la transizione, i suoi modi e i suoi tempi sono una decisione tecnica che è vietato mettere in discussione.

Al contrario di quanto avviene in Europa, i due temi – transizione “green” e difesa – entrano invece nella campagna elettorale americana, in cui si discute quanto e come si debbano sostenere gli alleati e quanto e come famiglie e sistema produttivo debbano sostenere la transizione energetica.

Più passa il tempo, più le decisioni tecniche peseranno sui bilanci delle famiglie, sul loro potere d’acquisto e sul loro benessere e più si cercheranno le ragioni di un’equazione che non torna. Insieme al problema economico che monta c’è quello politico, anche se non si vede e anche se non ha ancora forme coscienti.

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