Che il cancelliere tedesco Olaf Scholz non gradisca Ursula von der Leyen in cabina di regia alla Commissione Ue è uno scoop vecchio di cinque anni. Quando all’indomani dell’eurovoto 2019 il “consiglione” Ue partorì il nome dell’allora ministra della Difesa tedesca, la cancelliera Angela Merkel (diretta superiore di Ursula sia nell’esecutivo che nel partito) dovette astenersi: fu obbligata da Scholz, allora suo vice nella coalizione Cdu-Csu/Spd a Berlino. E poche settimane dopo i nuovi europarlamentari socialisti e verdi tedeschi – oggi in maggioranza a Berlino – negarono il voto di fiducia alla neo-presidente democristiana tedesca (appoggiata invece dai pentastellati del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dai dem prodiani italiani, compensati con la presidenza dell’Europarlamento a David Sassoli).
Fu una multi-sconfitta per la “cancelliera d’Europa”, e l’inizio del suo “crepuscolo”, culminato con il netto insuccesso elettorale dei cristiano-democratici uscenti al voto tedesco 2021, peraltro a inatteso favore dello stesso Scholz. Merkel – dopo l’esito dell’ultimo eurovoto, sfavorevole a popolari e socialdemocratici (ambedue ritrovatisi con meno voti e meno seggi) – aveva tentato a Bruxelles una manovra difensiva rivelatasi troppo azzardata anche per lei. Il candidato di punta dei popolari – il tedesco Manfred Weber – si era ritrovato “spuntato” nei numeri, costringendo la Germania a tradire di nuovo l’applicazione del principio in base al quale almeno il presidente della Commissione dovrebbe essere un parlamentare eletto a Strasburgo.
Il piano B della cancelliera puntò su un apparente “usato sicuro” come il socialdemocratico olandese Frans Timmermans: vicepresidente uscente nella commissione Juncker. Ma era un altro perdente al voto (con l’Europa che stava già virando verso destra), per di più troppo schiacciato sulla tecnocrazia di Bruxelles e già allora pasdaran ideologico della transizione verde. Nel conclave Ue ormai ai supplementari, spuntò così il nome di von der Leyen: sostenuta da tutti i premier “popolari” europei ma anche dalla Francia di Macron; prima “quota rosa” al vertice Ue, nata e cresciuta a Bruxelles, figlia di un grande “mandarino” tedesco in Europa fin dai Trattati di Roma. Un profilo fatto per non piacere alla sinistra tedesca: allora e mai.
Nel 2024, la Merkel non c’è più da tempo e il suo è oggi l’esatto contrario del “buen retiro”. Le sue memorie sono annunciate per il prossimo novembre, sotto il titolo “Libertà”, ma saranno un’autodifesa dalle molte condanne sommarie lanciate contro l’ex “Mutti Angela” da dentro e fuori la Germania dopo il ciclone russo-ucraino. Di Scholz – giunto alla cancelleria di Berlino in modo completamente inatteso, alla guida di una inedita coalizione con verdi e liberali – sono ormai in molti a chiedersi ogni giorno se raggiungerà la fine naturale della legislatura, fra poco più di un anno. E ben difficilmente sarà lui a guidare in futuro una Germania che sembra fra le grandi vittime della crisi geopolitica: anche per un deficit di leadership addebitato direttamente al cancelliere.
“Lei è chiaramente non adatto a ricoprire il ruolo”, gli ha detto pochi giorni fa in pieno Bundestag il capo dell’opposizione cristiano-democratica, Friedrich Merz, un avvocato d’affari a lungo avversato dalla Merkel, ma infine approdato al vertice della Cdu e al ruolo di “cancelliere ombra”. È stato europarlamentare e appartiene alla stessa ala moderata del partito in cui è emersa von der Leyen. È un europeista/occidentalista, liberale sul piano economico e relativamente conservatore su quello sociale. Da posizioni di moderatismo popolare europeo guarda con realismo alla transizione verde e non avversa i matrimoni “same sex”. È un rigorista non ideologicamente “falco” in economia e un supporter dell’Ucraina fin dalla prima ora (non con i continui tentennamenti di Scholz, ora in “fuga in avanti” sulle armi europee per colpire la Russia).
In breve: per Scholz (ma anche per i verdi, in prevedibile caduta libera elettorale fra dieci giorni, anzitutto in Germania) sostenere – anche in silenzio – von der Leyen a Bruxelles significa rafforzare direttamente l’opposizione in Germania, già quasi all’inizio di una lunga campagna elettorale. Per il cancelliere “rossoverde” il rischio è comunque di vedersi costretto a replicare in prima persona la figuraccia di Merkel nel 2019: negare ad “Angela” von der Leyen (spitzenkandidat del Ppe) il voto della Germania, per vederla magari incoronare dalla premier italiana Giorgia Meloni e da quello ungherese Viktor Orbán (che ha in Ursula un interlocutore, per quanto fermo). Ma quali carte di riserva può giocare il vero numero uno dei socialdemocratici europei? Qualcuno conosce il lussemburghese Nicola Schmitt, candidato di punta del Pse? E poi c’è già stato un leader europeo che ha governato in Europa con la Germania all’opposizione: si chiama Mario Draghi, è stato per otto anni al vertice della Bce ed è stato l’autore del canovaccio del Recovery Plan. E di un rapporto sul futuro dell’economia europea che von der Leyen ha virtualmente incorporato nella sua piattaforma per il secondo mandato.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.