È probabile che Daniela Santanché faccia “un passo indietro” in tempi brevi perché, indipendentemente dagli esiti giudiziari delle sue complesse vicende imprenditoriali, la sua presenza al governo sta creando imbarazzo – e non da oggi – a una Giorgia Meloni che ha bisogno di presentarsi alle elezioni europee di giugno con un partito il più possibile libero da ombre e nella prospettiva di ottenere un risultato almeno in linea, se non migliore, rispetto alle politiche del 2022.
Sulla Santanchè si incrociano da tempo i nuvoloni di diverse inchieste giudiziarie, con il rischio che scarichino un temporale di rinvii a giudizio proprio a ridosso del voto ed anche per questo – visto che i rapporti tra il centrodestra e la Procura di Milano non sono mai stati idilliaci – è meglio cautelarsi per tempo almeno dal punto di vista dell’immagine.
Tenuto conto che gli impegni da premier la limiteranno in campagna elettorale è ovvio che alla Meloni servono liste che “corrano” da sole e quindi con candidati di peso che sottolineino come non ci sia “una donna sola al comando”. Nello stesso tempo – nel solito mix tra visibilità, distinguo e con la perenne necessità di non scontentare troppo gli alleati – le serve non avere fardelli di polemiche sulle spalle oltre a quelli che fatalmente nascono e nasceranno dalla realtà quotidiana.
Come già fu con Vittorio Sgarbi, la Santanchè è invece progressivamente diventata una presenza ingombrante, anche perché da sempre – per stile e frequentazioni – è un personaggio troppo diverso dall’immagine che Giorgia Meloni vuole dare di sé stessa. Meglio quindi evitare grane “sotto data” all’election day di giugno, quando si voterà per Bruxelles ma anche in alcune regioni e in una miriade di comuni: “spontanei” passi indietro saranno quindi benvenuti.
In Via della Scrofa intanto fanno i conti, e sperando di portare a casa una ventina di seggi in Europa rispetto alla sparuta pattuglia attuale di eurodeputati, significa che per FdI ci sono una quindicina di posti disponibili, ovvero due o tre per ciascuna delle cinque circoscrizioni italiane, con candidati – va ricordato – eletti però con voto di preferenza.
Questa anomalia rispetto a sistemi elettorali ormai (purtroppo) consolidati ed impostati su liste bloccate di fedelissimi e amici di famiglia comporta non pochi rischi e aggiustamenti tattici per tutti.
Non bastano infatti le indicazioni dall’alto e neppure la posizione in lista: alla fine per l’elezione a Bruxelles contano (dopo il riparto proporzionale e con soglia di sbarramento al 3%) i nomi espressamente scritti come preferenze sulle schede e quindi porte aperte per tutti, anche a “nomi civetta”, richiamo per gli elettori di personaggi che di solito non vincono, ma intanto portano voti. Le circoscrizioni alle europee sono grandi, è difficile (e costoso) arrivare ovunque in campagna elettorale e quindi – in passato – calciatori, cantanti, medici famosi e personaggi noti alle cronache sono stati utilissimi (si noti la corte in corso al generale Vannacci).
Nomi che nei partiti sanno essere soprattutto da vetrina, perché poi sotto sotto – e soprattutto nel Centro-Sud – contano piuttosto i “vincoli di sangue” tra capi-corrente, potentati locali, signori delle tessere e affini, tanto che per le europee tornano di moda le “cordate” preferenziali, pur tra gli slalom imposti dalle candidature di genere.
È chiaro che per FdI una Meloni capolista “copre” (esaurisce) le preferenze per altre quote-rosa del suo partito (lo stesso problema emerge con la Schlein nel Pd) e questo è un altro problema per le candidate in gara. Tra l’altro c’è poi anche la questione di Arianna Meloni, che potrebbe sfruttare, almeno in una circoscrizione, l’omonimia con la sorella. La cosa non è nuova a destra: in casa La Russa già in passato Romano ha sfruttato il traino del più noto fratello Ignazio pur mettendoci sempre del suo, anche recentemente, per mettersi in luce propria non essendo – da sempre – propriamente quel che si dice uno dal tono moderato.
Tutto ciò considerato, la giubilazione della Santanchè diventerebbe per FdI un bel regalo di Pasqua, anche se nessuno lo chiede e tutti tirano indietro elegantemente la mano.
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