Ma cosa cambierà la sera del 26 maggio, una volta archiviato il duello elettorale tra le due anime della maggioranza giallo-verde? Di sicuro le novità non mancheranno, a fronte di nuovi equilibri tra i duellanti. E non è escluso che, dopo una lunga serie di colpi bassi, i due leader, per opposte convenienze, si presentino davanti alle telecamere per ribadire la solidità dell’alleanza messa in discussione dai media. Oppure che, seppur di malavoglia, Matteo Salvini prenda il timone del Governo, in nome di una leadership sovranista emersa dalle urne europee. Ovvero, in caso di tenuta europea (forse l’ipotesi più probabile) dell’asse tra socialdemocratici, liberali e forze cristiano-sociali, che la maggioranza italiana si trovi all’opposizione dell’asse di governo della comunità, assieme ai Paesi dell’ex blocco sovietico.
Non è il caso, per ora, di addentrarsi in previsioni comunque arrischiate, visto il ventaglio di variabili (Brexit in testa) che possono condizionare gli equilibri. Semmai si può riflettere sullo stato delle cose alla vigilia del voto, a partire dalla credibilità dell’Italia a un anno dall’insediamento della maggioranza.
Il voto, ahimè, non è positivo. Dopo un avvio ruspante, la politica economica dell’esecutivo si è fermata a metà strada. Le ricette applicate per reagire alla frenata della congiuntura non hanno fatto altro che ripercorrere ricette tradizionali, alla ricerca di sconti e sconticini sulla (presunta) austerità. Ma i proclami hanno avuto un pesante effetto sullo spread riducendo la capacità di azione dell’esecutivo sul fronte del contrasto alla frenata dell’economia, Ad aggravare il quadro ha contribuito peraltro la decisione di puntare sull’aumento della spesa corrente, a danno di interventi più strutturali. Tutto questo, agli occhi dei nostri partners, si è tradotto in una perdita di credibilità, che, qualunque sia il quadro che emergerà a fine maggio, pagheremo in moneta sonante.
Non si faranno di sicuro le privatizzazioni, addirittura per 18 miliardi, già promesse a dicembre. Al contrario, Bruxelles dovrà chiudere entrambi gli occhi per accettare l’ennesima soluzione per l’Alitalia, ormai un simbolo dei guai della corporate Italia. E chissà cosa si riuscirà a inventare per evitare l’aumento dell’Iva, stavolta quasi inevitabile per reperire le risorse a fronte dei provvedimenti votati negli ultimi mesi.
Per paradosso, la Francia di Emmanuel Macron scossa dalla protesta dei gilets jaunes, si presenta al voto degli europei in condizioni migliori: le riforme del Presidente hanno messo nelle tasche dei francesi più soldi e, per giunta, in tempi inferiori, di quanto non sia avvenuto da noi. E l’effetto sui consumi è stato immediato ed efficace, anche sul piano psicologico: la Francia, grazie e soprattutto all’aumento dei consumi, cresce più della Germania (+1,3% contro 0,5%) cosa che non succedeva da dieci anni. E questo, comunque vada al voto del 26 maggio, darà forza alla richiesta francese di rafforzare il bilancio Ue e di istituire un fondo per far fronte alla disoccupazione a livello europeo, misura essenziale non solo sul piano sociale, ma per accompagnare la trasformazione dell’apparato industriale a fonte della concorrenza cinese di quella americana.
È difficile sostenere che l’interesse dell’Italia vada in un’altra direzione. Così com’è importante attrarre alleati sul fronte dell’Unione bancaria, un comparto in cui il Paese ha fatto molti progressi che rischiano di esser vanificati dal no tedesco. Eppure è questa la prima, possibile battaglia per la nuova legislatura europea. Ma l’Italia, che tra l’altro perderà presto l’influenza di Mario Draghi a Francoforte, non se ne sta preoccupando. Con l’avvicinarsi delle elezioni non c’è tempo per fare i compiti in vista del nuovo anno scolastico.