In un recente sondaggio è stato chiesto agli inglesi di esprimersi su diverse questioni sociali chiedendo se la situazione, in riferimento ai temi specifici, fosse migliore o peggiore rispetto al 2010. In cima alla lista dei temi che vengono percepiti come maggiormente peggiorati ci sono il costo della vita, il sistema sanitario nazionale, l’immigrazione, l’economia e le case; in fondo alla lista l’agenda climatica, i “nuovi diritti” lo stato di salute della democrazia. Il sondaggio in sostanza fotografa quali siano le principali preoccupazioni dei cittadini inglesi e quali questioni, invece, siano considerate meno importanti. Lo stesso sondaggio, anche al netto della Brexit, ripetuto da questa parte della Manica tra i cittadini europei darebbe risultati simili. Il caro vita, lo stato dei sistemi sanitari nazionali, la possibilità di comprare una casa anche in Europa e in Italia sono in cima alle preoccupazioni degli elettori.



Alla vigilia delle elezioni europee sembra si sia aperto uno “spread” politico ed economico diverso da quello di cui siamo abituati a parlare. Le priorità politiche che occupano con maggiore frequenza l’agenda dell’Unione e i giornali sono la transizione energetica, gli investimenti in difesa, la riqualificazione energetica delle case, che diminuisce il valore di quelle esistenti e aumenta quello delle nuove, la ridefinizione su precise basi politiche delle catene di fornitura. Nel frattempo ci si interroga su cosa sia successo ai prezzi degli alimentari, a quelli delle case e dei mutui o, ancora, su come mai le liste d’attesa per le prestazioni sanitarie si siano allungate così tanto. Questo è lo “spread” tra preoccupazioni dei cittadini e priorità politiche e economiche. È uno spread politicamente ed economicamente destabilizzante come l’altro, anche se ha molta meno pubblicità.



Lo spread viene chiuso minimizzando i costi di alcune decisioni politiche: la sostituzione, in teoria a “costo zero”, delle importazioni, gli incentivi per decine di miliardi di euro alle rinnovabili o il costo della tassa sulla CO2 sull’elettricità pubblicizzati come la soluzione al “caro bollette”, le politiche commerciali aggressive oppure, da ultimo, l’accelerazione, per importi che valgono punti percentuali di Pil, delle spese per armamenti finanziate da “programmi europei”. La somma è equiparabile o superiore a quella di una finanziaria anche se non se ne discute. Questo spread è massimo proprio nell’Unione europea perché, per esempio, gli Stati Uniti tentano di chiuderlo limitandone alcune voci: dalla transizione energetica fino una flessibilità commerciale che, nei settori strategici, include anche i partner in teoria più imbarazzanti.



Il “caro vita”, ancora oggi, è un fenomeno inspiegabile che scende dall’alto senza avere cause ben definite. Questo è un “bene” nella misura in cui rimanda il conto da pagare per lo spread politico che si è aperto. Il male è che lo spread rimane e si allarga e il costo della chiusura aumenta e nel frattempo cresce il rischio che si manifesti disordinatamente.

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