Ma che fa Elly Schlein? Si presenta alle europee e fa finta di correre per tutti o resta a casa a fare il tifo per gli altri? Come la si nota di più, se corre e prende pochi o tanti voti o se fa il gesto di lasciare il campo agli altri? Pare che sia andata anche a chiedere consiglio a Nanni Moretti sul punto, per sapere alla fine della famosa scena, nel suo copione, cosa era meglio.



Di certo la sua indecisione non aiuta il Pd a trovare pace. Vedere le donne del Pd, riesumate dall’epoca renziana, unite a chiederle un passo indietro non è cosa bella. E fa un po’ strano che Elly voglia candidarsi sapendo di far fuori, potenzialmente, la Moretti, la Picierno e qualche altra. Ma forse la lettura è più semplice. Forse pesa sulle due donzelle di essere creature dell’epoca renziana. Le famose “ladylike” orfane della Boschi che ha seguito il suo mentore.



Se poi ci aggiungete la candidatura dell’Annunziata e quella chiesta al Ilaria Salis, detenuta all’estero, si capisce che Elly ha messo la freccia a sinistra. Lato dello schieramento che vuole a tutti i costi coprire con la sua presenza e le sue scelte, fagocitando gruppetti e listarelle capeggiate da agit-prop della vecchia guardia, a partite da Santoro.

Quello che vuole è avere un Pd di sinistra che vada oltre il 20% in sicurezza, potendo arrivare al 24, e reclamare lo scettro di secondo partito assoluto e leader dell’opposizione. Al suo piano manca il dettaglio della sua affermazione personale, da ottenere cumulando i voti in una o più circoscrizioni per tacitare i vari caicchi che la vedono come un avatar poco consistente, preoccupata solo di dialogare con un elettorato immaginario. Lei spera, agogna, che le urne delle europee si riempiano di delusi e scontenti che tirino fuori la loro appartenenza a sinistra per darle forza e rilanciare la scelta – fatta alle elezioni a segretario – di archiviare ogni velleità centrista del Pd, tagliando i ponti una volta per tutte con il periodo renziano anche nelle facce.



La somma di tutto ciò può essere o una grande affermazione di massa della sinistra storica, che si raggruppa anche dietro a figure come Bonaccini e Decaro, se servono, pur di mettersi di nuovo al centro dello scacchiere con un’identità precisa. Partendo dall’Europa come faro, i diritti civili, il sostegno all’Ucraina e portando in Europa una pattuglia di personalità che possano aprire la strada alla seconda parte della legislatura con la candidatura in pectore della Schlein a guidare un’alleanza che comprenda gran parte del campo largo.

Ma se la mossa non funziona, se lo spetto di Corbyn si materializza, facendo scappare l’elettorato poco poco moderato, sia aprirà una fase di crisi quasi irreversibile della sinistra; che appare, agli occhi di alcuni osservatori interni, più in crisi di quello che vuol far apparire. Perciò la Schlein si candiderà, con tutta probabilità, in una o più circoscrizioni dove ritiene di poter essere lei a fare la differenza. E la sua scelta, si badi, prescinde da quella della Meloni, che può decidere anche il giorno prima se scendere o meno nell’agone, potendo contare su di un’identificazione con il suo partito che va ben oltre la necessità di una sua candidatura. Identificazione che invece per ora il Pd non ha affatto con Schlein. Se Elly dovesse scendere sotto il 20%, infatti, la sua parabola andrebbe verso un declino irreversibile, e se le preferenze raccolte non  fossero alla portata dei primi eletti la parabola si trasformerebbe in un baratro in cui la segretaria cadrebbe inciampando su una percentuale simile a quella di Letta e su preferenze anonime.

Perciò Elly Schlein si sta chiedendo se sia meglio andare al party delle europee o stare casa a mettere la musica che gli altri dovrebbero ballare. Ora la musica è partita; non resta che attendere la sua decisone. La festa c’è comunque, sia che Elly vada sia che resti a casa.

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