Una NATO molto meno atlantica e che fa dell’Indo-Pacifico il suo fronte principale. Sempre più americana, visto che proprio alla Cina e a quell’area del mondo guardano principalmente gli USA. Quella che si prospetta nel vertice dei 32 Paesi aderenti a Washington è un’Alleanza che politicamente cambia obiettivo, spiazzando ancora di più un’Europa incapace di definire una sua linea autonoma, che ribadirà la linea di sostegno all’Ucraina e che potrebbe puntare il dito anche sul cosiddetto fronte Sud: quello nordafricano e mediorientale, dove paga anni di assenza e di interventi sbagliati, come quello in Libia, trovandosi davanti una Russia sempre più agguerrita.



Un fronte, questo, cruciale per l’Italia che può essere protagonista dello scenario mondiale ma, come spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, deve fare i conti con un Piano Mattei “zoppo”, che punta sulla cooperazione economica con i Paesi africani e sul controllo dei migranti, senza offrire nulla, però, in termini di sicurezza.



Generale, cosa ci si può aspettare dal vertice americano della NATO?

In relazione alla guerra in Ucraina il fronte mi sembra consolidato: si prevede di proseguire il sostegno a Kiev influenzando la politica europea, come confermano le probabili nomine della von der Leyen a presidente della Commissione UE e del primo ministro estone Kaia Callas agli Esteri, che seguono la scia del supporto incondizionato all’Ucraina nell’ottica del contenimento della Russia. La trazione è est-europea e nordica. La NATO è focalizzata al 99,9 per cento su questo, non a caso il giorno dopo le elezioni in Gran Bretagna il nuovo segretario della Difesa John Haley ha incontrato Zelensky garantendo supporto incondizionato. Un segnale importante: i laburisti garantiscono continuità con la politica dei conservatori, nessuno è in grado di mettere in discussione la partnership con gli USA.



Quali sono le principali criticità interne con cui l’Alleanza deve fare i conti?

Ci sono pareri discordi e sono fisiologici: con 32 membri è difficile che ci possa essere un’unica visione geopolitica. La criticità più grande è il discorso delle partnership globali indicate da Stoltenberg, che ha definito la Cina e l’Indo-Pacifico l’area di interesse strategico dell’Alleanza. Il segretario generale ha detto che la sicurezza non è più regionale ma globale. È la NATO globale che mostra l’aspetto più debole: sul piano militare ha potenzialità e aspetti vincenti, sul piano politico lasciano qualche dubbio i partenariati che si estendono al Giappone, alla Nuova Zelanda, all’Australia in un’ottica di contenimento della Cina che si sono inventati gli americani. Non vedo come un’Alleanza che è nata per problemi europei adesso debba contenere militarmente una potenza come la Cina, onnipresente dal punto di vista commerciale. È una estensione molto dannosa del perimetro di azione, come lo è stata quella con la Russia.

Una strategia che guarda caso coincide con gli interessi americani?

Coincide solo con gli interessi USA. E purtroppo l’Europa non farà sentire le sue ragioni. In questi momenti bisognerebbe tenere conto, invece, dei punti di vista di alcuni Stati: mi riferisco al fianco Sud della NATO, che potrebbe essere uno degli argomenti del vertice. Su questo tema potrebbe essere preso un impegno per una strategia in quell’area.

Una strategia che l’Italia è la prima a chiedere?

Sì, però è tardiva e molto difficile da realizzare. Da quando i russi hanno preso la Crimea e una parte del Donbass, i Paesi dell’Est e del Nord hanno guidato lo sviluppo dell’Alleanza, mentre le nazioni del fianco Sud sono rimaste sole di fronte ai problemi che caratterizzano quella regione: traffico di droga, immigrazione, terrorismo. Noi italiani, comunque, siamo artefici dei problemi che ora dobbiamo risolvere: abbiamo dato il consenso alla NATO per farci destabilizzare la Libia da Francia e Gran Bretagna e non siamo stati più in grado di prendere il controllo della situazione. Ora avere una strategia per il Nordafrica e il Mediterraneo allargato fino al Medio Oriente significa contenere i russi, la cui presenza in Libia ha un aspetto militare inequivocabile che prima era assente.

Qual è la strategia di Mosca nel Mediterraneo?

I russi stanno replicando il modello, efficientissimo, sviluppato in Siria: lì hanno il porto a Tartus e la base aerea a Hmeimim con giurisdizione sovrana sulla base, con Haftar stanno facendo la stessa cosa, con il porto a Tobruk, o Bengasi, e l’aeroporto di Benina che insieme a quello di Jufra è diventato l’hub strategico per la penetrazione in Africa. Niger, Mali e Burkina Faso hanno creato una confederazione degli Stati del Sahel. Sono filorussi e filocinesi: Pechino donerà 26 milioni di dollari al Burkina Faso.

L’Occidente cosa può fare in questa situazione?

Gli USA devono abbandonare il Niger entro il 26 luglio, i francesi sappiamo che fine hanno fatto. Come sviluppare allora la strategia del fianco Sud? La NATO dopo il bombardamento della Libia non ha più credibilità politica. Anche il Piano Mattei elaborato dall’Italia non ha la dimensione della sicurezza: non è uno dei pilastri del Piano, mentre i Paesi africani hanno bisogno di sostegno nella lotta alle forze jihadiste. I russi da questo punto di vista offrono pacchetti efficaci. Un’eventuale strategia della NATO dovrebbe essere sviluppata soprattutto in Italia, ma noi abbiamo le risorse per fare da catalizzatore degli interessi occidentali? Per questo dovremmo essere molto più cauti anche nei confronti della Russia, è un attore che nella nostra area di interesse è fortemente presente insieme alla Turchia.

Sulla NATO pende come una spada di Damocle l’incognita Trump: il suo avvento preoccupa i Paesi aderenti?

Molte analisi sostengono che la sua presidenza potrebbe mettere in pericolo l’Alleanza, altre sono meno drastiche. Lo vedremo da novembre se verrà eletto. Trump non ha mai avuto simpatia per la NATO, men che meno per la UE e ha avuto rapporti non facili con il mondo militare statunitense. Se queste sono le premesse, qualcosa da lui ce lo dobbiamo aspettare. Ma negli USA i fili della politica estera li hanno in mano i neoconservatori, è stato così anche con Obama. Bisognerà vedere se con Trump il nuovo presidente potrà imprimere un nuovo corso e cosa faranno i neocon: il disegno di destabilizzare l’Ucraina viene da loro. Con questo si scontreranno le promesse di Trump di mettere fine alla guerra. In quel momento bisognerà vedere quale posizione assumerà l’Europa, che fino ad ora si è schierata acriticamente con Washington.

La Polonia si è resa disponibile a intercettare dal suo territorio i missili lanciati dai russi sull’Ucraina nelle vicinanze del confine polacco. C’è il pericolo di una escalation?

Ci stiamo avvicinando a una linea di demarcazione sottilissima. Se gli obiettivi rimangono in Ucraina, intercettare i missili russi partendo dalla Polonia è un precedente pericoloso. Non so quanto possa contribuire alla difesa aerea del territorio di Kiev. Mi sembra più una provocazione politica.

Poche ore prima dell’inizio del vertice i russi avrebbero lanciato un missile contro un ospedale pediatrico in Ucraina. Può essere letta come una provocazione nei confronti della NATO?

Bisogna valutare le varie fonti, avere la certezza che sia un missile russo. Le valutazioni mi sembra che siano ancora in atto: se fosse responsabilità dei russi, chiamarla provocazione non sarebbe corretto, sarebbe una colpa gravissima. Avrei concepito un obiettivo militare significativo ma non un’azione di questo genere. Bisogna mantenersi cauti, alcuni danno per certo che sia stato un missile da crociera russo, ma altre fonti parlano di un missile della difesa aerea ucraino. Non sarebbe la prima volta che accadono errori del genere.

(Paolo Rossetti)

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