La possibile entrata dell’Ucraina nella Nato, il sostegno a Kiev nella guerra. La Svezia che vuole far parte dell’Alleanza atlantica ma deve fare i conti con le resistenze della Turchia. E poi ancora le divergenze sulle bombe a grappolo che gli Usa vogliono fornire a Kiev. Temi pesanti sul tavolo del vertice Nato in svolgimento a Vilnius.
Last but not least c’è il problema del grande nemico Usa, la Cina Popolare, e del suo attivismo nel Pacifico e non solo. Un eventuale conflitto con Taiwan impegnerebbe gli americani anche su un altro fronte: un problema per tutta la Nato. Una situazione, osserva Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, membro fondatore dell’Igsda e del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation, che meriterebbe un monito a Pechino.
L’Ucraina vuole entrare nella Nato: come sono schierati i Paesi dell’Alleanza rispetto a questa possibilità e cosa potrà uscire presumibilmente dal vertice su questo punto? Come continuerà l’appoggio a Kiev?
Il Segretario Generale della Nato Stoltenberg ha chiarito che Kiev non diverrà membro mentre la guerra è in corso e che nemmeno il vertice di Vilnius rilascerà un invito formale, perché un Paese in guerra trascinerebbe, con la sua adesione, tutti gli altri in un conflitto. Tuttavia, gli alleati sono divisi sulla tempistica con cui l’Ucraina dovrebbe essere autorizzata ad “allearsi” dopo la fine dei combattimenti. Mentre i Paesi dell’Europa orientale affermano che al vertice dovrebbe essere offerta una “road map” a Kiev, Usa e Germania diffiderebbero di qualsiasi mossa che possa avvicinare l’Alleanza alla guerra con la Russia. Nell’approssimarsi del vertice, più Paesi hanno sostenuto una proposta britannica per consentire a Kiev di “saltare” il cosiddetto programma “Membership Action Plan (MAP)” che stabilisce obiettivi politici, economici e militari che i Paesi candidati devono raggiungere.
Come continuerà l’appoggio a Kiev?
I leader dovrebbero discutere quali garanzie di sicurezza Kiev dovrebbe ottenere per il dopoguerra. Probabilmente includeranno la promessa di continui aiuti militari e finanziari a Kiev per dissuadere la Russia da un nuovo attacco anche una volta che la guerra sarà conclusa.
Le opinioni diverse sulla fornitura Usa di bombe a grappolo agli ucraini possono incrinare i rapporti nella Nato?
Si discute molto in questi giorni in merito decisione Usa. Si tratta di discussioni abbastanza ipocrite. Il munizionamento, pur se necessario, resta comunque letale e pericoloso per i civili per molti anni anche dopo la fine della guerra. Ipocrita è anche dichiarare da parte americana di aver ricevuto “assicurazioni” che tali munizionamenti non saranno usati contro la Russia: né gli Usa, né la Russia né l’Ucraina, d’altra parte, hanno mai ratificato il Trattato di Oslo che mette al bando le munizioni a grappolo. Quindi le forze armate di Kiev non sono tenute ad astenersi dal colpire il territorio russo qualora in possesso di tale armamento.
Ci sono, però, accordi internazionali che vietano l’uso di armi come queste. Contano qualcosa?
In ambito Nato ci si trova da anni a confrontarsi con la diversa sensibilità tra gli Usa e gli altri alleati relativamente all’uso di certe armi. Alla Convenzione internazionale per la proibizione delle mine antiuomo del 1997 hanno aderito 160 nazioni, tra cui la stessa Ucraina, ma non Usa, Cina, Russia, India, Pakistan, Israele. Quella di Oslo, ovvero la Convenzione internazionale per la proibizione delle munizioni a grappolo del 2008, è stata ratificata solo da 74 nazioni, tra le quali non appaiono Russia, Ucraina e Usa e molte altre. In Ucraina oggi verrebbero usate sia mine antiuomo sia cluster bombs. Se scoppiasse una crisi militare per Taiwan sarebbero indubbiamente usate per un’aggressione da parte della Cina Popolare. Logico che l’Alleanza rifletta per non creare un tragico precedente.
La Turchia sembra più vicina ad accettare anche l’entrata della Svezia come membro numero 32, ma gli ostacoli non sembrano ancora del tutto rimossi. Quando potrà entrare?
L’autarchia turca accusa la Svezia di essere troppo indulgente nei confronti dei gruppi che, secondo Ankara, rappresentano una minaccia alla sicurezza, compresi i militanti curdi e le persone associate al presunto tentativo di colpo di stato del 2016. Erdogan dimentica, non a caso, le “ingerenze” turche che a iniziare all’occupazione di parte del territorio cipriota si sono poi estese con crimini di guerra in Armenia, Libia, Siria e territori curdi. Va sottolineato che tutti gli altri membri hanno concordato che Stoccolma ha fatto abbastanza per soddisfare le richieste di Ankara. La Svezia ha cambiato la sua costituzione, modificato le leggi antiterrorismo e revocato l’embargo sulle armi alla Turchia, ma il trattato costitutivo della Nato prevede l’approvazione unanime di tutti i 31 membri per potersi “allagare”. Stoltenberg, Erdogan e il premier svedese Kristersson s’incontreranno e a Vilnius per sbloccare la situazione. Di queste ore il “ricatto” di Erdogan che chiede che la Turchia entri nell’ Unione Europea in cambi della Svezia nella Nato. Se non si vedrà la luce, questa decisione potrebbe, secondo molti, essere posticipata al prossimo vertice di Washington, tra circa un anno, prima del voto per il Parlamento europeo e delle elezioni presidenziali americane.
Cosa cambierà per la Nato con questo nuovo arrivo?
La futura partecipazione e Stoccolma espande il territorio dell’Alleanza Atlantica e aumenta considerevolmente la sua proiezione a Nord-Est, rassicurando anche Paesi Baltici e Polonia ed eliminando al contempo il “cuscinetto” formato da un paese militarmente non allineato tra Nato e Mosca. Il Mar Baltico sarà, a questo punto, a quasi totale controllo NATO e la Russia vedrebbe la sua flotta del Baltico sotto osservazione. Per una coincidenza storica, poi, San Pietroburgo si affaccia sul Golfo di Finlandia.
La guerra in Ucraina ha accentuato lo scontro per l’egemonia mondiale tra Usa e Cina: come si pone l’Alleanza atlantica di fronte a Pechino e viceversa?
La Cina Popolare è stata citata per la prima volta nella storia del concetto strategico Nato quale “sfida ai nostri interessi, sicurezza e valori”. Sfida che appare globale non solo geograficamente, con il tentativo di porre una “cintura” intorno all’Europa attraverso il controllo dei suoi porti e delle sue infrastrutture, colonizzando e rendendo dipendenti dal debito Paesi africani di cui sfrutta risorse e “terre rare”. L’assertività di Pechino nel quadrante Indo-Pacifico e, in particolare, nel Mar Meridionale, così come la no-limit strategic partnership con la Federazione Russa, hanno un impatto diretto sulla sicurezza euro-atlantica e per la Nato più di quanto non appaia. Una possibile crisi conseguente alla minacciata aggressione di Taiwan, oltre a privare le imprese occidentali di alta tecnologia del 90% dei semiconduttori, impegnerebbe consistentemente gli Stati Uniti nel Pacifico, indebolendo il supporto statunitense alla sicurezza europea, a tutto vantaggio della Federazione Russa.
Mosca e Pechino parlano di un nuovo ordine mondiale che ridimensioni il ruolo di Occidente e Usa: continuare la guerra in Ucraina, quindi, vuol dire indebolire uno degli attori di questo progetto e quindi indebolire anche la Cina Popolare?
Logico che i leader Nato abbiano avvertito che ciò che sta accadendo oggi in Europa può accadere domani in Asia. “Se la Federazione Russa vince in Ucraina, questo manderebbe il messaggio che i regimi autoritari possono raggiungere i loro obiettivi con la forza bruta”, ha detto Stoltenberg a Tokyo all’inizio dell’anno, aggiungendo: “Questo è pericoloso. Pechino sta guardando da vicino e sta imparando lezioni che potrebbero influenzare le sue decisioni future”. Si riferiva sicuramente a Taiwan.
Un conflitto con Taiwan cosa comporterebbe per la Nato?
Il presidente degli Stati Uniti ha affermato in diverse occasioni che le forze americane avrebbero difeso la democratica Taiwan in caso di invasione cinese. Ciò creerebbe il rischio che gli alleati della Nato e altri partner statunitensi vengano coinvolti nel conflitto: un piano di emergenza che l’Alleanza dovrebbe pianificare. La Nato accusa Pechino di usare la leva economica per creare dipendenze strategiche e aumentare la sua influenza. Pechino, invece, insiste sul fatto di stare “dalla parte della pace”. È auspicabile una dichiarazione ferma al temine del vertice, un deciso monito alla Cina Popolare perché’ rispetti le regole democratiche, l’integrità degli stati e la libera circolazione nelle acque internazionali.
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