Il leader nordcoreano Kim Jong-un è arrivato in Russia a Vladivostok e oggi incontrerà Putin. Visto dall’Europa potrebbe assomigliare ad un mero incontro di routine con un vicino di casa, mentre il dialogo vero, quello con gli Usa, appare bloccato. Ma sarebbe un errore, perché Kin Jong-un sta giocando a tutto campo e le sue mosse possono dischiudere fasi nuove. Anche se, spiega Francesco Sisci, giornalista, sinologo e docente alla Renmin University of China, “il primo obiettivo di Kim non è probabilmente un patto con Russia o Cina, ma un patto con gli Usa”.
Che ruolo può giocare la Russia nel risiko coreano dopo il fallimento dell’ultimo vertice con Trump ad Hanoi?
La struttura originale dei colloqui sulla Nord Corea era giusta, ed era a sei perché identificava anche nella Russia un elemento importante dell’alchimia politica di questo paese. Non dimentichiamo infatti che nella guerra di Corea del 1950 l’Urss incoraggiò Pyongyang e obbligò la Cina a partecipare, quando essa era invece riluttante. Oggi quindi la domanda vera forse è: che ruolo vuole giocare il presidente Vladimir Putin in Corea?
Lei cosa risponde?
Da vera potenza neo-bizantina Mosca vuole le dita in più focolai possibili per poi chiedere all’alleato (Cina o Usa che sia) il prezzo più alto possibile. In questo Mosca oggettivamente può rappresentare una moltiplicazione di scenari di tensione. E in questo può essere un partner molto interessante per il nordcoreano Kim Jong-un, già attento giocatore di politiche di doppi forni: dire una cosa ai cinesi e un’altra agli americani, e magari un’altra ancora ai giapponesi. Cioè l’incontro Putin-Kim crea moltiplica elementi di incertezza e instabilità che russi e nord coreani possono giocare ciascuno per conto proprio, per ricattare o pressare americani o cinesi su una strada di concessioni.
Che differenza c’è tra ieri e oggi?
In effetti il nonno Kim Il-sung dopo il 1960 – quando avvenne la rottura tra Mosca e Pechino – per decenni sviluppò il paese facendo una partita russi contro cinesi. Oggi il gioco per Pyongyang è a cinque. Infatti c’è anche la Sud Corea che cerca la pace inseguendo il Nord e accentuando certe polemiche con il Giappone e una distanza che potrebbe essere crescente con gli Usa.
Veniamo all’America, appunto. Lei cosa vede?
Per gli Usa la partita comincia a essere molto pericolosa. Alla fine degli anni 30 Stalin – georgiano, erede davvero carnale dell’impero bizantino – prima giocò di sponda con i tedeschi, e poi, quando venne attaccato da Hitler, fu salvato dall’appoggio degli americani. In questo l’Urss da paese prossimo al crollo negli anni 30 emerse nel 1945 come grande potenza planetaria. C’è una lezione per Putin qui? Inoltre in questa partita potrebbe essere tirato per la giacca anche papa Francesco, visto che Putin dovrebbe venire a Roma a incontrarlo nel prossimo futuro.
Che cosa può chiedere Kim alla Russia? Saranno richieste in chiave anti-americane?
Non è detto che siano semplicemente anti-americane. L’alleanza con Mosca oggettivamente mette sotto pressione la Cina, che oggi meno di ieri può pensare di gestire Pyongyang, che peraltro era già difficile da gestire. La Nord Corea oggi è nei fatti più forte nel chiedere un taglio delle sanzioni agli Usa in cambio di impegni che a Washington molti giudicano non certissimi. Però a Washington non piace essere messa sotto ricatto, quindi Washington potrebbe non essere felice di quello che sta succedendo, anche perché oggi si sono moltiplicati i richiedenti: oltre a Pyongyang ora c’è anche Tokyo. A Washington serve una nuova strategia imperiale, altrimenti rischia di essere torturata e uccisa da morsi di (M)mosche.
Finora la Cina è sempre stata considerata la prima grande alleata della Corea del Nord. Come reagirà Xi Jinping a questa visita? I rapporti con Pechino potrebbero indebolirsi?
Pechino è abituata a gestire Pyongyang in condominio con Mosca. Sotto questo profilo non c’è una novità. La novità per Pechino è la moltiplicazione dei tavoli di trattativa. Qui se gli Usa hanno difficoltà, i cinesi potrebbero averne di più, perché da giocatori (della Nord Corea) potrebbero trasformarsi facilmente in posta in gioco, cioè il pezzo di grasso di cui tutti vogliono una fetta. Inizia per la Cina una partita in realtà molto complicata che forse a Pechino stanno sottovalutando.
Intanto in Corea del Nord, accanto alla conferma scontatissima di Kim come “leader supremo” della nazione, l’Assemblea suprema del popolo ha sostituito il suo capo di Stato de facto, ruolo in gran parte simbolico che rappresenta il Paese all’estero: a prendere il posto del 91enne Kim Yong Nam è stato Choe Ryong Hae, uno dei tre leader nordcoreani sanciti da Washington alla fine del 2018 per il loro ruolo a capo dei “dipartimenti che attuano a nome del regime la censura di stato, violazioni dei diritti umani e altri abusi per reprimere e controllare la popolazione”. È solo un ricambio generazionale, visto che Choe è nato nel 1950, o è un messaggio rivolto anche agli Stati Uniti?
Difficile entrare nel merito. Potrebbero essere solo fuochi d’artificio fatti per confondere le idee e dire cose diverse a persone diverse. Di certo, siamo oggi sicuri che Kim ha il controllo della situazione ed è lui che decide.
Nel frattempo, però, Kim Yong-chol, confidente di Kim Jong-un, e altri funzionari coinvolti nel vertice nord-americano di Hanoi di febbraio sono stati eletti membri della Commissione per gli affari dello Stato. Vuol dire che Kim non intende chiudere la porta del tutto a Trump sul nucleare?
Credo che la partita con Trump non sia chiusa, anzi credo sia ancora aperta e che il primo obiettivo di Kim non sia un patto con Russia o Cina, ma un patto con gli Usa, che soli possono dare a Pyongyang un futuro diverso dai 70 anni di socialismo e miseria attuali. Ma è difficile capire se il passo attuale con Mosca avvicina o allontana l’obiettivo per Pyongyang. Questo dipende anche da come tutti gli altri giocatori al tavolo si muoveranno nei prossimi giorni e settimane.
I rapporti tra le due Coree sembrano in una fase di stallo, mentre è tornata a salire la tensione con il Giappone. Che sviluppi dobbiamo attenderci sul fronte dell’Estremo Oriente?
Tokyo teme sentimenti antigiapponesi nella regione e in Sud Corea. Alcuni ambienti vicino al presidente Moon Jae-in pensano che il Giappone sia per la Sud Corea un pericolo maggiore di Pyongyang. Sono ambiti minoritari ma sono termometro di una tensione in aumento. Qui occorre un ripensamento profondo in Sud Corea, ma forse occorre anche qualche sforzo in più in Giappone che, diversamente dalla Germania, ha più conti in sospeso con i vicini. D’altro canto tutta l’Asia orientale forse deve voltare pagina sulla storia e smetterla di usarla o esserne usata. La seconda guerra mondiale è finita 74 anni fa. Occorre tirare una linea qui, ma per questo ci vorrebbe un nuovo grande patto di pace regionale. Forse però ad alcuni paesi questo patto non interessa.
(Marco Tedesco)