Cina e Unione europea hanno tenuto un vertice in teleconferenza in piena pandemia Covid-19 a livello globale. Protagonisti il presidente cinese Xi Jinping e quello del Consiglio europeo, Charles Michel, a sua volta affiancato dal presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel, quest’ultima a sottolineare chi sia il paese leader dell’Unione. Come ci ha spiegato in questa intervista Francesco Sisci, giornalista, sinologo, editorialista di Asia Times, “è un vertice da cui non ci si aspettava granché a livello di accordi commerciali, ma che ha avuto un importante significato diplomatico, in quanto oggi l’Unione europea rappresenta per Pechino l’unico partner commerciale, visti i contrasti con Stati Uniti e paesi asiatici”.
Il vertice è caduto in un momento storico particolare, dominato dalla pandemia Covid-19. Quale significato riveste?
E’ un vertice significativo perché comunque, pur nel clima internazionale sempre più nervoso, Europa e Cina dimostrano di voler continuare a parlarsi. Questo è un elemento importante che dà speranza.
Quali i punti sul tavolo e i risultati che si attendevano?
Probabilmente non si è riusciti ad avere un grande accordo, perché l’Europa chiedeva alla Cina condizioni di ingresso nel mercato, che la Cina non è disposta a concedere; viceversa, l’Europa è sempre più timorosa verso investimenti considerati aggressivi. Questi due elementi di fondo rimangono irrisolti, mentre s’impone la questione dei diritti umani, che nei paesi della Ue è in realtà ancora più importante e sentita che in America.
La Cina negli ultimi anni per aggirare le difficoltà imposte dall’Unione europea ha dato vita, con il consenso dei paesi dell’Europa orientale, alla cosiddetta cooperazione 17+1, appunto 17 paesi dell’Est Europa più la Cina. Quanto questa cooperazione preoccupa Bruxelles?
In realtà è un problema vecchio, che non nasce oggi, ma risale ad alcuni anni fa. Mentre l’Europa tramite Francia e Germania cercava di creare una specie di fronte comune, la Cina, alla luce delle difficoltà di ingresso nel Vecchio continente, ha cercato geometrie diverse. Credo che oggi, con il piano unitario di oltre 700 miliardi di euro di aiuti a tutti i paesi europei, queste iniziative cinesi diventeranno complicate, perché l’Europa si sta consolidando economicamente e politicamente. Operazioni di questo genere sono difficili per la Cina o singolarmente per alcuni paesi europei, come Italia o Grecia.
Recentemente il ministro degli Esteri cinese è venuto in Europa per riaprire un dialogo dopo le polemiche sul Covid. Questo vertice ha sancito l’affermazione di questo dialogo?
Sì, questo vertice ha avuto la stessa finalità. Ci sono sicuramente accordi che sono stati firmati, non si è trattato di un vertice del tutto inutile, però di certo non c’è stato un accordo pieno sui temi in agenda. Come ulteriore elemento significativo va ricordato che per la Cina è importante cercare di mantenere rapporti migliori possibili con l’Europa, che oggi è il suo più grande partner commerciale, mentre con Asia e America si raffreddano. C’è un elemento di diplomazia importante in questo vertice.
E l’Europa porta a casa qualcosa da questo vertice?
Qualcosa in termini di accordi commerciali in discussione sicuramente, però non dobbiamo aspettarci grandissimi risultati. L’Europa chiede alla Cina proprio ciò che chiedono anche gli Stati Uniti: l’apertura dei mercati interni di Pechino, cosa che tuttavia non è stata concessa all’America, quindi non viene concessa neanche all’Europa. Ma è importante che si continui a tenere aperto un canale di dialogo.