La situazione delle relazioni internazionali continua a disvelare le trasformazioni profonde che covano nel seno tanto del capitalismo internazionale quanto delle classi politiche che ne registrano i movimenti con la loro azione, sia di rappresentanza, sia di codeterminazione nel complesso delle poliarchie in lotta nel mondo.



Tutto sta franando e non si sa se per ricomporsi nuovamente oppure per degenerare in un disordine collusivo bellico, così come è reso manifesto dal conflitto russo-ucraino e soprattutto dal nazionalismo fondamentalista islamico di matrice palestinese, usato dalle medie potenze in guisa di contrasto delle grandi, sulla scia di quanto accadde – comparativamente – con i nazionalismi balcanici, rinfocolati e protetti dallo zarismo in funzione anti-austroungarica e anti-ottomana. Sappiamo come andò a finire, ma non è detto che la storia non si ripeta.



Oggi tutto è certamente assai inconsueto. Nulla ha di diplomatico come si pensa che siano gli incontri tra i vertici Ue e quelli cinesi. Il fatto che il giorno prima dell’incontro, l’Italia – che dell’Ue è un componente non estemporaneo – rinunci alla “Via della seta”, a cui aveva aderito nei tempi del populismo nazionalistico-tecnocratico, non è certo previsto nei manuali diplomatici. Un allineamento certamente voluto dagli Usa, più che dalla triade che si apprestava a incontrare i capi cinesi, ma certo non un segnale di egemonia, bensì di dominio delle nazioni più forti su quelle più deboli. Una grande esposizione di debolezza…



Tra i temi che sono stati elencati negli ordini del giorno – dai diritti umani ai legami di Pechino con la Russia nonostante la guerra in Ucraina, per finire con il tema dell’antisemitismo divenuto guerra aperta sul campo, con gli scontri tra Israele e Hamas – il più importante per l’Ue è il crescente divario commerciale con la Cina.

Ursula von der Leyen e Charles Michel, con le loro dichiarazioni, hanno alzato la tensione durante il vertice, dicendo che l’Unione Europea “non tollererà la concorrenza sleale della Cina … La concorrenza deve essere equa. Noi insistiamo sulla concorrenza leale all’interno del mercato unico, quindi insistiamo anche sulla concorrenza leale da parte delle aziende che entrano nel nostro mercato unico … Ci aspettiamo che la Cina intraprenda azioni più concrete per migliorare l’accesso al mercato e le possibilità di investimento per le aziende straniere”.

Le imprese europee, nonostante le differenze profonde che esistono tra le loro filiere industriali e le loro appartenenze nazionali, che si riflettono nelle diverse strategie dei rispettivi “corpi politici”, temono che le restrizioni alle importazioni e i generosi sussidi concessi dal Governo di Pechino alle imprese con sede in Cina le pongano in una posizione di svantaggio, aumentando il deficit commerciale con la Cina, nel contesto di uno scambio complessivo assai cospicuo di 2,3 miliardi di euro al giorno. Le importazioni europee dalla Cina superano le esportazioni di  400 miliardi di euro, con un disavanzo che è aumentato di dieci volte negli ultimi 20 anni e raddoppiato negli ultimi due: “Uno squilibrio – per la Von der Leyen – semplicemente insostenibile”.

E qui si disvela la contraddizione inter-capitalistica che può divenire insostenibile e su cui Emiliano Brancaccio ha sempre ben posto l’accento: la centralizzazione capitalistica (che i più, gli incolti, chiamano “globalizzazione”) porta con sé contraddizioni che possono certo divenire insostenibili: vedi la guerra di aggressione dei capitalisti russi a quelli ucraini, travestita di tutto ciò di cui può travestirsi, e vedi gli attacchi terroristici di Hamas ai coloni aggressivi e al Governo che oggi li sostiene: e lì il contesto ideologico è terribile e universalmente tragico, giungendo sino a propugnare l’eliminazione dello Stato ebraico.

Un disvelamento di questa dialettica di contrasti difficilmente conciliabili, la si è già avuta con la regolazione che si sta affermando tra il capitalismo Usa delle imprese e la Cina: no al decoupling e sì al derisking, si è detto, perché la valorizzazione del capitale deve continuare, cercando naturalmente di salvaguardare la sicurezza dello Stato. Uno Stato governato dai “corpi politici” della poliarchia, sempre più importanti in un’epoca di capitalismo di guerra, come quello in cui lentamente stiamo sempre più inoltrandoci.

Anche l’Ue ha adottato l’approccio definito derisking con indagini anti-sovvenzioni, in primis sulle auto elettriche a basso costo prodotte in Cina e sempre più diffuse nell’Ue. Ma la differenza con quanto sta accadendo ed è accaduto con la Russia è importante: non si vuole disaccoppiare l’ economia europea da quella cinese. Una strategia molto diversa da quella degli Usa e seguita dall’Ue nei confronti della Russia dopo l’invasione dell’Ucraina.

E le contraddizioni tra i capitalismi nazionali – sì, perché lo Stato-nazione ancora esiste ed è spesso la cornice ideale in cui talune imprese capitalistiche accrescono il loro pluslavalore e producono profitti e occupazione – non rinunciano a emergere anche nei confronti della Cina. Pensiamo alla Francia. Emmanuel Macron, per esempio, ben esprime l’idea prevalente nel capitalismo francese di un’Europa come “terzo polo” tra Washington e Pechino, così auspicando un ri-orientamento strategico dell’Unione Europea, per non far dipendere le proprie scelte di politica estera, energetica ed economica del futuro dai vincoli generati da un solo attore delle relazioni internazionali, anche se dominante come sono gli Usa.

Nel mentre la strategia della Germania – colpita duramente dalle sanzioni alla Russia che sono in realtà in primis anti-tedesche – sta mutando e muta, a iniziare dal rapporto con la Cina, come emerge dal famoso documento sulle relazioni internazionali reso pubblico nel luglio 2023 e in cui si traccia il mutamento delle line guida seguite dal Governo tedesco nei rapporti con Pechino. In esso emerge chiaramente un cambiamento della politica estera ed economica. La Cina rappresenta il principale partner commerciale della Germania, con un volume di commercio pari a 298 miliardi di euro nel 2022: ed è significativo che tutto ciò accada dopo l’aggressione imperialistica della Russia all’Ucraina, che ha – con le sanzioni che ne sono seguite – indebolito potentemente il sistema economico tedesco. La nuova strategia tedesca riconosce un aumento degli aspetti di competizione e rivalità a scapito della dimensione di partenariato, sottolineando che la Germania resta aperta a una migliore cooperazione solo se fondata sulla reciprocità con la Cina.

Trovare il giusto equilibro tra la riduzione dei rischi e il mantenimento di scambi economici vantaggiosi con Pechino, supportando al contempo gli interessi di Bruxelles, si configura, per Berlino, come una sfida quanto mai complessa e che mette a rischio la stessa tenuta nel lungo periodo dell’economia teutonica e con essa anche di quella europea.

L’Ue è profondamente divisa e non ha una strategia comune. Si pensi alle posizioni ben differenti seguite da partner certo meno importanti, ma significativi, come l’Ungheria e la Serbia, che mantengono con la Cina un accordo di fondo nonostante la guerra russo-ucraina, e ciò provoca con la Polonia conflitti continui.

La Polonia, che è divenuta ormai il pivot più importante dell’incrocio tra la Nato e l’Ue, è oggi la nazione che guida a livello non solo europeo la politica di riarmo preconizzata dal capitalismo di guerra, che sempre più si sviluppa nel silenzio di tutti.

Insomma: un quadro ben complesso, instabile quanto mai. L’instabilità diviene quasi una vertigine se si volge lo sguardo alla composizione del corpo politico della sfera celeste dei mandarini cinesi. Il ministro degli Esteri è scomparso da mesi dalla scena internazionale e di lui non si hanno tracce di sorta. Dal 25 giugno 2023 la Cina non ha un ministro degli Esteri: Qin Gang fu sollevato dall’incarico dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo e sostituito colui ch’era stato il suo predecessore, Wang Yi, ch’era nel contempo divenuto il capo della diplomazia del Partito comunista. Si affermava così chiaramente il predominio del partito sullo Stato.

La questione del decoupling e del derisking altro non è, allora, per la Cina, che il riproporsi della questione dei rapporti che possono instaurarsi in un regime di capitalismo di Stato a dittatura terroristica come quello cinese tra politica economica del Pcc, borghesia capitalistica, ordine sociale e relazioni internazionali: queste ultime sono cruciali per un capitalismo sorto e sviluppatosi così velocemente dopo l’ eliminazione fisica dei capi della “rivoluzione culturale “grazie all’intervento Usa e tedesco e su decisione del gruppo riformista di Deng Xiao Ping e dei suoi seguaci, raccolti nella Federazione giovanile comunista, gruppo che perde via via, però, potere e influenza sotto il tallone di Xi Jinping e su cui non possiamo soffermarci qui. Ma è in questo processo che risiede il successo prima, e la debolezza poi, della dominazione di Xi e il successo o la fine dell’economia cinese. Tutto dipende così dalle forme che assumerà politicamente il declino economico cinese, ormai sotto gli occhi di tutti: anche degli increduli, dei fedeli e dei devoti.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI