L’Unione Europea ha istituito nel 1992 lo status di cittadino europeo. Come noto, e come ci ricordano i nostri passaporti, i cittadini degli Stati membri dell’Unione sono anche cittadini europei. Tale idea aveva l’obiettivo di ricordare a tutti i cittadini“l’appartenenza” a un progetto politico continentale comune. Le scelte di come risolvere la crisi del Covid-19 stanno mettendo a rischio lo stesso significato della “cittadinanza europea”.
La crisi economico-finanziaria causata dal coronavirus presenta una sua specificità: non è conseguenza del comportamento degli Stati membri. Essa è causata da un elemento esogeno – la pandemia – alle loro politiche economiche. Questa è la principale differenza rispetto, per esempio, alle cause che scatenarono la crisi dell’eurozona dieci anni fa. Quale possono essere, allora, gli strumenti per risolvere questa crisi?
La soluzione richiede certamente l’“attivazione” di tutti i possibili strumenti previsti dai Trattati. Al momento l’Unione ha reagito rapidamente attraverso, tra l’altro, l’intervento della Bce, la sospensione del Patto di stabilità e crescita e “rilassando” – in modo impensabile fino a poco tempo fa – il controllo sugli aiuti di Stato.
Ma cosa prevede il diritto dell’Unione in simili situazioni? I Trattati europei prevedono espressamente la possibilità per le istituzioni europee di intervenire “in uno spirito di solidarietà” quando uno Stato membro si trovi in difficoltà a causa di circostanze eccezionali che “sfuggono al suo controllo” (articolo 122 TFUE).
La discussione sulle risposte dell’Europa alla crisi del Covid-19 si sta concentrando anche sulla possibilità di istituire i cosiddetti “coronabond” o comunque dei titoli di debito “mutualizzati” a livello europeo per la sua soluzione. Si tratta comunque di prestiti, sebbene a tassi d’interesse contenuti.
La mutualizzazione consiste, sostanzialmente, nel fatto che gli Stati in una situazione economica favorevole (Germania e Olanda, in primo luogo) avranno un “costo” dall’emissione di tali “bond”, mentre gli Stati in una situazione economica sfavorevole ne avranno un “vantaggio” (non diversamente da quello che già avviene con il Mes, il cosiddetto fondo salva Stati). Si avrebbe quindi una forma di “solidarietà” come previsto dall’articolo 122 TFUE.
I motivi dell’impossibilità di far ricorso ora al Mes, almeno nella forma utilizzata durante la crisi dell’eurozona, sono due. Tale fondo prevede – per principio – una forte “condizionalità”, nella forma di riforme macroeconomiche, come controprestazione alla concessione di liquidità; riforme che, se realizzate in una situazione di (certa, futura) recessione, avrebbero effetti esiziali sulle economie degli Stati richiedenti. Inoltre, la richiesta di attivazione del Mes da parte di uno o di pochi Stati dell’eurozona (e non dalla totalità di essi) causerebbe un probabile “stigma” sulla situazione economico-finanziaria dei primi con il probabile peggioramento del livello dei tassi d’interesse richiesti dal mercato per l’acquisto del loro debito.
In altre parole, l’accesso al Mes pregiudicherebbe economicamente questi Stati in assenza di una loro responsabilità della crisi per la quale essi chiedono accesso al fondo. Questo, però, favorirebbe finanziariamente gli Stati che non si trovano nella necessità di accedere al Mes, cioè quelli economicamente più “forti”. Da qui l’esigenza di prevedere altre forme di finanziamenti mutualizzati.
La mancata risposta dell’Unione alla crisi (anche) con forme di finanziamento “mutualizzato” (anche con un Mes aggiornato nel suo Statuto al fine di venire incontro alle criticità sopra indicate) porrebbe in dubbio il significato stesso della cittadinanza europea; cioè l’appartenenza di tutti i cittadini degli Stati membri a un progetto comune.
Questo perché la situazione attuale dimostrerebbe come alcuni Stati membri (e conseguentemente i loro cittadini “europei”) possono avere vantaggi (anche solo involontari) dagli effetti economico-finanziari negativi conseguenti alle sofferenze e alla morte di migliaia di altri cittadini europei.
Una simile inazione non sarebbe senza conseguenze per l’Unione. Già l’Ue si fonda (o si fonderebbe) sull’obiettivo della creazione di una prosperità generalizzata; prosperità sempre più distante per molti cittadini europei dopo la crisi dell’eurozona (in questo caso, anche per la diretta responsabilità dei singoli Stati).
Una presa di coscienza da parte dei cittadini che nel processo d’integrazione europea la sofferenza e la morte possano provocare il “miglioramento macroeconomico” (anche solo involontario) di alcuni Stati a discapito di altri determinerebbe conseguenze prevedibili. Cioè l’ulteriore allontanamento dei cittadini europei da tale progetto. In questo modo favorendo il ritorno, lento, ma inesorabile, dei nazionalismi, che hanno determinato, nella prima parte del XX secolo, il fallimento del continente europeo. Non molti anni fa.