«Potevano ammazzarlo, ma si è trattato di un avvertimento, un messaggio ancora da decifrare. Forse non vogliono un vescovo bianco oppure un missionario che ha lavorato a lungo con un’altra etnia»: a parlare dopo l’agguato per fortuna non mortale ai danni di Christian Carlassare (vescovo appena nominato dal Papa per la Diocesi di Rumbek in Sud Sudan) è padre Daniele Moschetti, ex provinciale dei comboniani per il Sud Sudan.



Oggi sul Giornale l’inviato di guerra Fausto Biloslavo analizza questa visione molto informata sul contesto geo-politico e religioso di uno dei Paesi più poveri del mondo: non lo hanno ucciso (per fortuna!), lo hanno picchiato, gambizzato e minacciato. Potevano ammazzarlo i suoi aggressori eppure hanno deciso di intimidirlo: questo perché, sottolinea Biloslavo, dietro vi potrebbe essere proprio l’ostilità manifesta delle tribù-etnie a Rumbek. Le gambe sono ferite ma per fortuna non sono stati lesi organi vitali né ossa rotte: «Mi hanno pure picchiato colpendomi in testa, ma li perdono dal profondo del cuore», ribadisce il missionario comboniano.



LA FERITA E IL PERDONO

«La popolazione soffre molto più di me. Perdono chi mi ha colpito. La mia solidarietà va a chi è stato ferito oppure ucciso a Rumbek. Ringrazio Dio per permettermi di svolgere la missione», così ha spiegato il vescovo Carlassare non perdendosi d’animo e invocando la preghiera nel Signore e per la Chiesa. Come racconta al Giornale Padre Andrea Osman, che vive vicinissimo al vescovo originario di Schio, «L’ho sentito gridare e poi gli spari. Quando mi hanno visto hanno intimato di andarmene. Uno di loro ha sparato due proiettili, che si sono conficcati nella sedia alle mie spalle». All’agenzia informata sulle dinamiche dell’Africa – Nigrizia – una fonte ben informata sull’inchiesta riguardo l’agguato al vescovo comboniano «Si tratta di un avvertimento chiaro e di un’intimidazione per padre Christian. Il messaggio che hanno voluto trasmettere è che non deve essere consacrato vescovo il prossimo 23 maggio, giorno di Pentecoste».



Lo spettro della guerra civile è sempre dietro l’angolo per il Sud Sudan e il Paese ancora oggi è «parcellizzato dai signori della guerra» – conclude ancora Biloslavo – «hanno mantenuto le loro milizie e gli appetiti sulle ricchezze come il petrolio». Sempre secondo Moschetti, se non si riuscirà a formare un solo esercito nazionale il rischio sarà quello di «tornare ad una sanguinosa guerra tribale per il controllo delle risorse».