Una mossa per evitare il collasso del sistema umanitario. Così il segretario dell’Onu António Guterres ha giustificato il ricorso all’articolo 99 della Carta delle Nazioni Unite per porre all’attenzione del Consiglio di sicurezza la necessità di un cessate il fuoco immediato a Gaza. Dopo la tregua Israele ha ricominciato a bombardare come prima e più di prima: solo in un giorno avrebbe colpito 450 obiettivi di Hamas. Un’operazione imponente che sta mettendo sempre più in difficoltà i civili. Per questo Guterres ha preso l’iniziativa, anche se l’orizzonte all’interno del quale si muove è quello dei veti e delle limitazioni delle procedure ONU. “Resta da sperare che i Paesi occidentali, in particolare gli Stati Uniti, siano così saggi da non opporre il proprio veto ad una risoluzione che imponga a Israele un cessate il fuoco per fini umanitari” spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma. Puntualmente è avvenuto invece il contrario: ieri sera gli Stati Uniti si sono opposti, ponendo il veto alla risoluzione ONU perché non contiene una condanna di Hamas e il diritto di Israele a difendersi.
I rapporti tra Israele e le Nazioni Unite sono pessimi: da tempo Tel Aviv non rispetta le risoluzioni, soprattutto sull’occupazione dei territori palestinesi, e dopo l’attacco del 7 ottobre c’è stata una dura polemica sulle parole del segretario che contestava la politica israeliana. Superare questi ostacoli non sarà facile, anche in vista di una soluzione definitiva della questione palestinese una volta archiviata la guerra in atto: per riuscire a mettere d’accordo le parti, però, spiega Cannizzaro, ci vorrà un nuovo governo in Israele.
Guterres ha deciso di utilizzare per la prima volta nel suo mandato l’articolo 99. Cosa significa e in che occasioni si utilizza questa norma?
L’art. 99 stabilisce il potere del segretario generale di porre all’attenzione del Consiglio di sicurezza ogni situazione relativa alla pace e alla sicurezza internazionale. Il segretario generale, però, non è un organo politico e non ha capacità decisionali su questo punto. La Carta delle Nazioni Unite definisce il segretario generale come il vertice dell’apparato amministrativo. Di conseguenza, la capacità del segretario generale di incidere sulle scelte politiche delle Nazioni Unite dipende dalla sua autorevolezza personale. L’art. 99 rispecchia questa situazione. Il segretario generale può richiamare l’attenzione del Consiglio di sicurezza. Ma ciò non implica che il Consiglio di sicurezza faccia proprie le preoccupazioni del segretario generale. Tuttavia, la lettera del segretario, di alto valore morale, offre una visione realistica della tragica situazione nella Striscia di Gaza.
Onu e Israele sono da tempo ai ferri corti: l’ultima occasione di attrito è stata la revoca del visto al coordinatore residente delle Nazioni Unite per i territori palestinesi. Questo rifiuto significa una violazione delle norme? Oppure Israele ha esercitato un suo diritto?
Israele da tempo non dà seguito alle raccomandazioni degli organi delle Nazioni Unite. Né ha eseguito la risoluzione vincolante del Consiglio di sicurezza 242 (1967), la quale impone la cessazione dell’occupazione dei territori palestinesi. La revoca del visto rientra nelle prerogative di ogni Stato, ma è chiaro il significato politico di esso. Israele non riconosce le Nazioni Unite come un proprio interlocutore.
La storia di Israele è costellata di una serie di risoluzioni e decisioni dell’Onu che non sono state rispettate, in particolare quelle sui territori occupati. Il mancato rispetto delle risoluzioni ha avuto qualche seguito?
No. La risoluzione 242 del 1967 è rimasta largamente inattuata e altre proposte di risoluzione del Consiglio di sicurezza non sono state adottate a causa del veto degli Stati Uniti, proprio come questa volta. Per lungo tempo si è pensato di trovare una soluzione negoziata sulla base dello schema dei due Stati, ma questo schema è stato svuotato di significato dal Governo israeliano, il quale ha consentito una colonizzazione sfrenata dei territori occupati, vietata dal diritto internazionale. Proprio la presenza di insediamenti di coloni israeliani nei territori è la maggiore fonte di tensione nell’area nonché il maggior ostacolo a qualsiasi ipotesi di negoziato.
Gli Emirati Arabi preparano una proposta di risoluzione per il cessate il fuoco immediato: qual è il suo iter e fino a che punto può incidere sul conflitto?
Non conosco i dettagli di questo piano. È certo che gli Emirati arabi possono essere interlocutori nel processo diplomatico in quanti alleati degli Stati Uniti ma molto vicini alla causa palestinese.
Israele ha ribadito la volontà di raggiungere un accordo con l’Arabia Saudita proseguendo le trattative in corso prima del 7 ottobre. Un elemento che può cambiare lo scenario?
Credo che l’azione israeliana, condannata in maniera unanime da tutte le popolazioni, nonché dai governi degli Stati arabi, abbia posto un macigno sull’idea di allacciare rapporti diplomatici con Israele senza risolvere la questione palestinese. È opinione diffusa che proprio questo schema diplomatico, che perpetua o addirittura aggrava la situazione della popolazione palestinese, sia stato un elemento determinante per il feroce attacco di Hamas del 7 ottobre.
Al di là della guerra bisognerà trovare una soluzione alla questione palestinese. Che sia quella dei due Stati o un’altra ipotesi, come può essere legittimata a livello internazionale?
È difficile dire. Occorrerebbe mettere da parte due estremismi: quello di Hamas, da un lato, ma anche quello dei partiti religiosi di estrema destra, i quali da anni dominano il Governo israeliano e propugnano apertamente l’idea del Grande Israele. La diplomazia internazionale è caduta in un equivoco imperdonabile; che, cioè, si potesse riportare la pace nell’area dimenticando la causa palestinese. Gli eventi di queste settimane dimostrano che questo schema non ha alcuna possibilità di successo.
Qual è la strada da percorrere?
Occorre rimuovere questa opzione, la quale ha portato, e verosimilmente porterà, altri eventi luttuosi ad ambedue le parti. L’unica soluzione appare quella del negoziato per la costituzione di uno Stato palestinese in tutti i territori occupati; un negoziato con rappresentanti responsabili del popolo palestinese e con un Governo israeliano diverso da quello odierno, il quale getta ogni giorno semi di tensione e di violenza. Certamente, un foro di negoziato potrebbe essere quello delle Nazioni Unite. Ma prima occorrerebbe sciogliere i nodi geopolitici che impediscono al Consiglio di sicurezza di operare. Non sarà una cosa facile.
(Paolo Rossetti)
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