Fuori due. Dopo il siluro lanciato dal senatore Enrico Borghi che la scorsa settimana ha lasciato il gruppo del Pd per abbracciare quello di Italia viva, è notizia fresca (annunciata domenica sera via Che tempo che fa, ovvero su Rai 3 da Fazio, adesso si usa così) che anche l’economista Carlo Cottarelli ha deciso di lasciare il Pd dimettendosi da senatore e dallo stesso partito.
Lo fa sul canale privilegiato Pd di “casa Rai” e contestualmente scrivendolo su Repubblica con parole e dichiarazioni gentili, ma molto dure nei confronti della segretaria. Cottarelli ammette apertamente di trovarsi a disagio per gli atteggiamenti del “nuovo” Pd sul Jobs Act, il Superbonus, i termovalorizzatori, l’utero in affitto, il nucleare, la proposta del premio di merito per i professori. Quindi l’economista se ne va, ma – sorpresa – dimostra la sua correttezza non trasferendosi armi e bagagli in un altro partito, ma dimettendosi dal Senato e lasciando quindi spazio per la prima non eletta Pd . “Non sarebbe giusto cambiare gruppo parlamentare – spiega Cottarelli – anche perché sono stato eletto col proporzionale e quindi senza una scelta diretta sul mio nome da parte degli elettori. Il primo dei non eletti mi sostituirà quindi senza perdite di seggi complessivi per il Pd. Mi sembra la scelta più corretta”.
Da una parte, dunque, questa nuova sberla alla Schlein con il Pd che perde quindi altri pezzi sul fronte moderato; dall’altra questa scelta trasparente di Cottarelli che onora l’autore per la propria coerenza, ma apre una volta di più la questione – morale, prima ancora che politica – se sia corretto che un parlamentare eletto in un partito lo lasci per passare a un altro gruppo.
Una questione delicata, visto che la Costituzione considera l’eletto “senza vincolo di mandato” politico, ma d’attualità, dato che ora chi viene “nominato” in parlamento lo fa solo in virtù di una candidatura più o meno blindata.
Questo vale soprattutto per i capolista e tenendo conto che ormai non è più possibile fare scelte su singole persone esprimendo voti di preferenza. Seggi pre-assegnati insomma a tavolino e dove non contano le capacità o i meriti del singolo candidato (e purtroppo spesso se ne vedono gli effetti).
La decisione di Cottarelli colpisce anche perché la scorsa legislatura ci ha abituato ad una serie di disinvolti cambi di casacca e ad una vera e propria migrazione di eletti che hanno stravolto la mappa stessa del parlamento.
Proprio il caso dell’ex Pd Enrico Borghi (eletto in Piemonte nell’unico posto sicuro del Pd al Senato) fa ancora discutere, soprattutto perché il suo passaggio con Renzi – che ha permesso all’ex premier di costituirsi in gruppo autonomo parlamentare, con relativi benefit – non ha impedito allo stesso Borghi di rimanere però nel Copasir in “quota Pd” e con il maggior gruppo di opposizione, che ora non ha più propri rappresentanti in questo delicato organismo, salvo il presidente Lorenzo Guerini, ex ministro della Difesa con Draghi. Una situazione francamente assurda, tenuto conto della proporzionalità dei posti in commissione.
Certo che l’addio di Cottarelli è comunque un altro chiodo per la croce della Schlein, che appare spingersi su posizioni sempre più contraddittorie, anche se per ora sembra privilegiare soprattutto l’opposizione a prescindere. La Schlein cerca insomma un recupero a sinistra – e in questo senso vanno lette le sue dichiarazioni durante le manifestazioni cui ha partecipato insieme ai sindacati –, ma rischia così di perdere simpatie al centro, anche perché temi come il presidenzialismo sono abbastanza trasversali pure in casa Pd.
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