Nel Governo ci stanno pensando, ma il ministro delle Infrastrutture e mobilità sostenibili Enrico Giovannini, ospite di un TechTalk del gruppo Gedi che parla di tecnologia, innovazione e futuro, ha lanciato il sasso: «Ci sono Paesi, come quelli del nord Europa», ha detto, «che hanno fissato il limite al 2030. Altri al 2040. A luglio arriverà l’indicazione della Commissione europea. Noi presto decideremo, ma direi che il 2040 è una data limite.
Oltre non si andrà insomma. Per le auto a benzina e a diesel il conto alla rovescia è partito ieri». Poteva essere più vago dicendo semplicemente «boh», ma si è immolato sull’altare del conformismo per regalare un titolo ai giornali del gruppo che lo stava ospitando. Il 2040, tra 19 anni, è abbastanza lontano per pensare che non sarà più ministro e per ritenere che, forse, Giovannini, allora ottantatreenne, non avrà neanche più la patente, ma basta l’annuncio per infilare il numero uno del Mims tra gli ambientalisti di diritto, tra i discepoli di Greta, tra i fulgidi seguaci di un miraggio ecologista a dispetto dei bisogni delle persone.
Giovannini ha detto “quando”, ha sorvolato sul “perché” dandolo per scontato anche se non lo è affatto, è stato vago sul “chi” e sul “dove”, ma non ha affrontato la questione principale: il “come”.
Di cosa stava parlando il ministro? Della produzione di auto diesel o benzina? Della circolazione su strada? E, se sperando di sbagliarsi, stava parlando di circolazione, su quali strade? Solo nelle grandi città? Se si tratta di metropoli avvertiamo il ministro che arriva buon ultimo. Già ora alcune città ci stanno pensando e la data potrebbe essere il 2030. Vale lo stesso discorso se parlava, invece, della vendita. Molte case automobilistiche hanno già annunciato che produrranno solo auto elettriche da molto prima del 2040 e una, Volvo, per puro caso di proprietà cinese, ovvero il Paese che ha il monopolio mondiale delle Terre rare indispensabili per costruire le batterie, ha firmato un appello per bloccare tutta la produzione dei concorrenti, europei nel 2035.
«I costruttori sono dalla nostra parte, stanno accelerando moltissimo», ha detto il ministro, annunciando imminenti incentivi per rinnovare il vecchissimo parco circolante di vetture. Di questo non c’è da dubitare: ci sono 230 milioni di auto che circolano in Europa e solo lo 0,2% sono elettriche. Ci sono quindi oltre 220 milioni di vetture da sostituire, da rottamare o, meglio, da esportare nel sud del mondo e ci sono oltre 200 milioni di automobili nuove ed elettriche da vendere nei prossimi 10/15 anni che si vanno ad aggiungere a una quota di vendite più o meno normali. Insomma, siamo agli albori di un vero e proprio boom del mercato automobilistico.
Nulla di male in tutto ciò, tranne il fatto che a pagare questa rivoluzione, in un modo o nell’altro, saranno gli automobilisti e che nessuno ha ancora spiegato il “come” e, precisamente, come riusciremo a ricaricare questi milioni di auto elettriche con una rete che in Italia va regolarmente in tilt ogni estate quando vengono accesi i condizionatori d’aria. Di quanta nuova potenza installata avremo bisogno? Faremo nuove centrali elettriche? Come le alimenteremo? E soprattutto quanto costerà l’energia, visto che già ora i costi delle ricariche al chilometro sono paragonabili a quelli del consumo di carburante.
Domande difficili che forse non meritano un altro TechTalk, ma almeno delle risposte.
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