Caro direttore,
è veramente un triste spettacolo quello a cui ci è toccato assistere sui giornali e sui social a seguito delle dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa sull’attentato in via Rasella a Roma (23 marzo 1944), attentato ben ricostruito su queste colonne da Alberto Leoni. A 78 anni dalla nascita della Repubblica persiste ed è ben viva sotto le ceneri una memoria storica sulla quale ci scopriamo ideologicamente ancora “divisi”.
Dubito fortemente che l’auspicio di Leoni rivolto ai politici di destra di studiare meglio la storia per scoprire che son esistiti partigiani con idee moderate varrà a sottrarre “ogni argomento ideologico e mitologico” alle sinistre. È un pio sentimento ritenere che una pur buona ma semplice conoscenza del passato possa portare ad “incontrarsi”, se l’affronto del reale nel presente è ideologico.
Non esiste unità nella memoria del passato perché è il presente ad essere vissuto nel pregiudizio e non viceversa. La levata di scudi contro La Russa ha ridato fiato all’antifascismo, le cui basi sono ideologiche e mitologiche. Lo stesso La Russa, anziché ricordare le 335 vittime innocenti, ha voluto chiosare per attaccare una parte della Resistenza che non la vulgata, certo, ma la storia ha dimostrato essere “di parte”. E questo ha suscitato le reazioni faziose di Landini (Cgil) e del solito Pagliarulo (Anpi), dei quali ci siamo sciroppate le solite scempiaggini sul piano storico, perché l’Italia è stata liberata dagli Alleati e i partigiani hanno dato solo il loro contributo, sempre grazie ai finanziamenti e alle armi degli Alleati.
Anche le dichiarazioni (scontate) della Schlein e del M5s, pur di attaccare l’attuale Governo, hanno strumentalmente glissato sui fatti di Via Rasella e/o dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, agitando lo spettro del revisionismo. Tutto ciò, torno a dire, dimostra che nessuna ricostruzione del passato è possibile se nel presente si affoga nel pregiudizio.
Quanto dichiarato da Francesco Albertelli, presidente di Anfim (che riunisce i parenti delle vittime delle stragi nazifasciste) è oltremodo significativo: “Cinque delle famiglie delle vittime dei caduti nell’eccidio fecero causa ad alcuni degli autori della strage di via Rasella (i gappisti Carlo Salinari, Franco Calamandrei, Carla Capponi e Rosario Bentivegna) proprio perché l’attentato aveva scatenato la rappresaglia. E già nelle prime sentenze fu chiarito che l’attentato di via Rasella fu un atto di guerra”.
Qui il giudizio su via Rasella si fa schizofrenico: siamo allo strabismo. Se la strage di via Rasella fu un “atto di guerra” allora il capo delle SS Herbert Kappler e il suo subordinato Erich Priebke, che eseguirono gli ordini, avrebbero dovuto andare assolti anziché esser perseguiti come criminali. Ed invece no! La giustificazione che “fu un atto di guerra”, come avrebbe dovuto valere per i gappisti, così sarebbe dovuta valere anche per i nazisti! Ma ciò, guarda caso, è irricevibile.
Per concludere, in Italia la “storia” è stata scritta dai vincitori, senza alcun riguardo – come ben scrisse Giampaolo Pansa – per il sangue dei vinti e degli innocenti. La storia continua ad esser deformata dalle lenti dell’ideologia; lo dimostra La Russa, che “ragiona” da uomo di destra, e tutti i signori del Palazzo: Landini, Pagliarulo, Albertelli e perfino Antonio Carioti, storico del Corriere della Sera (1° aprile 2023) che ragionano da uomini di sinistra: “Con via Rasella non è in discussione tanto la legittimità dell’azione, che rientrava certamente nell’ambito della guerra partigiana…”. Ancora? No: non rientrava nella lotta partigiana spargere sangue innocente: c’è azione e azione! Altrimenti, con questo criterio si riabiliterà anche Putin, e a Bucha sarà come se non fosse successo niente.
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