Caro direttore,
il procuratore capo di Verbania, Olimpia Bossi, ha denunciato in tempo reale “l’assoluta inopportunità” della messa in onda da parte del Tg3 Rai delle drammatiche immagini della funivia del Mottarone negli istanti della tragedia. E prima ancora di rammentare “il dovuto rispetto che tutti, parti processuali, inquirenti, e organi d’informazione sono tenuti a portare nei confronti delle vittime del dolore delle loro famiglie”, il comunicato stampa sottolinea che delle immagini diffuse dal Tg3 e rilanciate da infiniti altri media “ai sensi dell’articolo 114 comma 2 del Codice di procedura penale è comunque vietata la pubblicazione, trattandosi di atti che, benché non più coperti dal segreto in quanto noti agli indagati, sono relativi a procedimento in fase di indagini preliminari”.
È una posizione formalmente ineccepibile e condivisibile; sostanzialmente assai meno. Rivela da parte del magistrato un atteggiamento speculare a quello dei giornalisti che si sono ritrovati fra le mani il video e – non possiamo dubitarne – hanno avuto almeno un attimo di scrupolo prima di spararlo in rete: ma alla fine lo hanno sparato. E sono magari gli stessi giornalisti che hanno applaudito ai calciatori della Danimarca che, sabato scorso, hanno anzitutto protetto la dignità del loro compagno Christian Eriksen, morto per 10 minuti con la moglie in lacrime accanto. Sono i gestori di siti e social che hanno alimentato il polverone contro chi ha invece subito rilanciato le foto più crude del dramma di Eriksen: peraltro a lieto fine, a differenza di quello del Mottarone. Copie, share, contatti. Soprattutto contatti.
Il procuratore di Verbania, d’altronde, deplora le “intercettazioni di video” pochi giorni dopo che sui media italiani è spuntato un video relativo alle oscure vicende che ruotano attorno all’avvocato Piero Amara, da poco tornato in carcere. Il video risale al 2014 e – secondo l’Ansa che ne ha pubblicato “un breve estratto” – è stato “acquisito in Tribunale dalla Procura di Brescia, che sta indagando il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm Sergio Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio in relazione al processo sul caso Eni Shell-Nigeria. Il documento “è stato recuperato dal legale di uno degli imputati in un altro procedimento” e la registrazione dei colloqui fra l’ex manager Eni Pietro Armanna e Amara dimostrerebbe, secondo i magistrati, come il primo avesse orchestrato “un impressionante vortice di falsità” contro i vertici Eni”. Che sono stati alla fine assolti dal tribunale di Milano, ma dopo otto anni di indagini da parte della Procura.
Nessuno sa al momento cosa sia “vero” o “falso” nella tragedia del Mottarone o nelle trame della cosiddetta “loggia Ungheria” (attorno a cui spuntano video vecchi di sette anni, ma non la “lista dei 39” iscritti, di cui i partecipanti ai talk show parlano come di cosa risaputa). È certamente compito della magistratura accertare le responsabilità, con ruoli chiari e possibilmente leggibili fra inquirenti e giudicanti (sia a Verbania che a Milano, Roma e Perugia invece è tutto subito diventato opaco, a maggior ragione negli interventi del Csm, organo di autogoverno istituzionale dell’ordine giudiziario). Ed è anche compito dei media raccontare: possibilmente senza strumentalizzazioni di alcun genere.
Attorno al video del Mottarone pubblicato dal Tg3 – come pare di leggere senza equivoco nel comunicato stampa della Procura di Verbania – è stato commesso un illecito: perché allora la Procura non investiga? Fino a che non lo fa alimenterà il sospetto di aver – come minimo – tollerato un’operazione mediatica presso une testata connivente ai fini di formazione di un consenso “giustizialista”: dopo che una gip ha inopinatamente smontato la tesi iniziale della Procura contro i primi arrestati (pagando peraltro con la rimozione immediata e l’apertura di un procedimento disciplinare davanti al Csm).
Il cuore delle indagini sul centrale “caso Palamara”, intanto, ruota attorno a una sola intercettazione che l’ex presidente dell’Anm sostiene essere stata effettuata su ordine della Procura di Perugia e poi in qualche modo occultata. La riforma della giustizia – come hanno più volte sollecitato nelle ultime settimane il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il ministro Marta Cartabia – incomincia da un “reset” serio delle regole del gioco fra palazzi di giustizia e redazioni. Fra film sbattuti in diretta in prima pagina e ripescati a orologeria sette anni dopo non c’è nessuna via di mezzo, non va cercato nessun “equilibrio più avanzato”. Se la loro pubblicazione è un illecito, va perseguito. Se necessario senza guardare in faccia al servizio pubblico televisivo: che per primo non dovrebbe mai essere complice di un illecito.
L’alternativa – sempre possibile – è “liberi tutti”: senza più convegni, trattati, editoriali sulla deontologia professionale dei magistrati o dei giornalisti. E senza distinzioni (ipocrite) fra “valorosi combattenti per la democrazia” e “mele marce”. Un video o un “file” – sul mercato – sarà sempre utile a un Pm o a un avvocato per vincere in aula e un giornale per vendere copie e fare contatti. È ora di decidere quali sono i paletti – effettivi – posti dalla legge al mercato dei video e delle intercettazioni giudiziari.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.