Gennaro Acquaviva è uno degli spettatori privilegiati di pagine decisive della storia politica italiana: è stato infatti capo della segreteria politica di Bettino Craxi dal 1976 e poi suo consigliere politico a Palazzo Chigi. Intervistato sul Corriere della Sera da Walter Veltroni, l’ex dirigente socialista ha ripercorso i passaggi più importanti di quell’epoca, soffermandosi anche su uno dei momenti più tragici di quegli anni: il rapimento di Aldo Moro. Non tutti sanno che il leader della Democrazia Cristiana, dalla sua prigionia, indirizzò una lettera proprio a Bettino Craxi. I due non avevano una particolare confidenza, ma si stimavano. E Moro aveva capito che Craxi era tra i pochi decisi a trattare per la sua liberazione. Acquaviva, come peraltro ha fatto nel libro “Presunto colpevole – Gli ultimi giorni di Craxi” di Marcello Sorgi, racconta che quella lettera portò il leader socialista alle lacrime: “C’è un episodio che non posso dimenticare. Freato una mattina viene in Direzione e porta a Craxi una lettera di Moro. Mancano quindici giorni alla morte. Io rimango lì perché ero ansioso di sapere. Lo vedo uscire. Mi chiama Craxi e lo trovo che sta piangendo, nella sua stanza, con la lettera in mano. Ha le lacrime agli occhi e quasi butta verso di me questa lettera dicendo: “Adesso arriva quello della polizia e la deve sequestrare. Fai una copia”. Naturalmente non c’erano le fotocopiatrici all’epoca. Chiamiamo un fotografo di corsa e facciamo un’istantanea del testo. Dopo dieci minuti arriva Spinella, che allora era a capo della Digos. Immagina: io con questa lettera in mano, Craxi che piangeva come un cavallo. Consegno il testo come se fosse sangue di Gesù Cristo. Ma rimango basito dalla reazione del capo della Digos: prende la lettera, neanche la guarda e se la mette in tasca. Rimane in piedi nella mia stanza, non vede l’ora di andarsene. Mi dice solo: “Ma che caspita! Ma perché ci state a far perdere tempo! Ma che è sta roba! Insomma è tutto deciso, non c’è niente da fare, smettetela di rompere le scatole, di far perdere tempo a tutti”. Prende e se ne va. Era un bravo poliziotto, sia chiaro. Ma era evidentemente impregnato del clima di quei giorni, del mondo in cui operava. Che probabilmente lo aveva dato per morto il giorno stesso in cui l’hanno preso“.
GENNARO ACQUAVIVA: “BERLINGUER STAVA PER MORIRE E BETTINO SEMBRAVA UN PAZZO”
C’è un altro episodio, raccontato Gennaro Acquaviva, che racconta di un’umanità di Bettino Craxi non così nota per il mainstream. Emerge chiaramente nei momenti precedenti la morte di Enrico Berlinguer, il leader del Partito Comunista con cui Craxi era solito battagliare politicamente: “Siamo a Londra, una visita ufficiale alla Thatcher. Verso le dieci, dieci e mezzo di sera torniamo in albergo, nella hall ci sono tutti i giornalisti pronti a bloccare Craxi e lui si mette lì a parlare. Da pochi giorni c’è stata la rottura sulla Scala mobile. Io me ne vado a letto perché non mi va di stare lì, ma immagino che abbia criticato duramente Berlinguer. Sono a letto, verso mezzanotte mi telefona con la voce strozzata dicendo: “Vieni qui, corri”. Corro là pensando che stesse male. È ancora vestito e mi dice “Berlinguer sta per morire, ha avuto un malore mentre faceva un comizio, sto parlando col prefetto di Padova, mi sta richiamando per dirmi come sta.”. Era come impazzito, andava in giro per la stanza con le braccia alzate come un matto. Può darsi fosse anche preoccupato per quegli attacchi, ora sgradevoli. Ma era davvero addolorato, era uno come lui, della sua generazione, che se ne stava andando. Uno con cui aveva combattuto ma che stimava, sentiva dalla stessa parte. Craxi con la morte ha avuto sempre un rapporto difficile, si ritraeva nel giudizio. Anche quando doveva fare una commemorazione, per esempio di Nenni, quasi non riusciva a parlare, commosso e teso pensando al dopo“.