Un’esperienza che nasce sulle orme dei Colloqui Fiorentini e che aggiunge al confronto personale con l’autore letterario il lavoro interdisciplinare con altre materie. A partire dalla lingua inglese. Il progetto delle Le Vie d’Europa, infatti, giunto alla 18esima edizione e pensato per i ragazzi delle medie e i loro docenti, si sviluppa proprio a partire dal romanzo di uno scrittore anglosassone, ad esempio per l’edizione di quest’anno è stato scelto l’americano Mark Twain. Il 22 marzo, infatti, si svolgerà il convegno finale del progetto targato Diesse Firenze e Toscana, a conclusione del lavoro realizzato nelle classi di mezza Italia nel primo quadrimestre, con la lettura di un testo (in italiano) accompagnata anche da quella di ampi brani in lingua originale.



La manifestazione, che è anche un corso di formazione per i docenti tramite la didattica laboratoriale con gli studenti, conta 900 partecipanti da 8 regioni italiane. Per i ragazzi, spiega Maria Serena Agnoletti, docente di lettere, ideatrice e direttore del progetto, la lettura integrale degli autori è un’occasione per confrontarsi, scoprire se stessi, partecipare paure e sentimenti.



Come è nata l’esperienza di Le Vie d’Europa?

Il nostro punto di riferimento sono stati i Colloqui Fiorentini, abbiamo visto quanto era bella e valida quell’esperienza e anche in noi è nato il desiderio di sperimentare come valido per tutti il metodo di insegnamento che già stavamo utilizzando nelle nostre classi io e la collega di inglese, Gabriella Torrini. Così abbiamo ideato Le Vie d’Europa. Quello che abbiamo aggiunto, rispetto ai Colloqui Fiorentini, è l’interdisciplinarietà: abbiamo puntato infatti su autori stranieri per lavorare insieme insegnanti di italiano e di lingue. E poiché nella scuola secondaria di primo grado la lingua più praticata è quella inglese, la scelta cade sempre su autori di lingua anglosassone.



Il lavoro letterario, quindi, viene svolto sia dal docente di lettere che da quello di inglese?

L’insegnante di lettere fa leggere integralmente una o più opere dell’autore scelto, mentre quello di lingue propone ampi brani scelti dall’opera originale e su quelli fa lavorare i ragazzi. È una scommessa, perché nella secondaria di primo grado non si fa letteratura, si crede di non poterla affrontare, si pensa che i ragazzi di questa età non possano comprendere e gustare un autore. Normalmente si leggono brani antologici, si fa analisi di un testo tramite esercizi a crocette o una disamina sui generi letterari.

Con questo progetto dimostrate invece che fare letteratura è possibile?

Possibile e vincente. Quando durante l’estate davo un libro da leggere integralmente e suggerivo anche una lettura di brani antologici, alla fine delle vacanze chiedevo ai ragazzi cosa avessero gradito di più e la maggior parte di loro aveva preferito il libro. Già questo è significativo, ma quando poi il lavoro viene svolto in classe insieme dall’adulto con i ragazzi, allora fiorisce una capacità di conoscenza e di immedesimazione davvero sorprendente; anche l’insegnante, in verità, impara molto, crede di aver capito il testo, ma dal confronto con i suoi studenti impara molto di più, come ci testimoniano in tanti. I ragazzi hanno delle intuizioni molto profonde, che certo poi hanno bisogno di una guida che li aiuti a svilupparle.

Come funziona il lavoro in classe e cosa produce in vista dell’incontro finale?

Si lavora con i ragazzi leggendo il testo in classe e si dialoga sulle tematiche che ne emergono. Poi ci si divide in gruppi che dovranno elaborare e presentare ai promotori dell’evento un racconto in italiano e/o in inglese che riprenda appunto le tematiche e anche la modalità dell’uso della lingua dell’autore, oppure tesine vere e proprie, momenti di riflessione su ciò che hanno ricavato dall’autore confrontandolo con la propria esperienza, infine opere d’arte, perché i ragazzi delle medie si esprimono molto attraverso questa modalità. A questo punto diventa un lavoro interdisciplinare molto più ricco, perché oltre agli insegnanti di lettere e di inglese entrano in gioco quello di arte e volendo quello di musica e di tecnologia.

Al convegno, invece, cosa succede?

Nel convegno il momento più interessante è all’inizio, quando i ragazzi espongono le loro domande, manifestando ciò che non hanno ancora compreso. E alcuni docenti del Comitato didattico rispondono ai loro quesiti. Altri ragazzi intervengono raccontando la loro esperienza, quello che hanno ricavato dal loro lavoro. Ne escono delle testimonianze di crescita personale, documentazioni a livello esistenziale. Tutto ciò dimostra che i ragazzi sono in grado di comprendere e di ricavare dei tesori preziosi per la loro crescita. Anche gli insegnanti apprezzano questa esperienza, la vivono come una novità portata nella scuola e aderiscono un po’ da tutte le parti d’Italia: avremo 900 presenze al convegno di quest’anno provenienti da 8 regioni. Sono del Centro-Nord, ma in edizioni precedenti ne abbiamo avuti dalla Sicilia, dall’Abruzzo, dalla Campania. Ci sarà poi una breve pièce teatrale in cui due attori (amici da tempo de Le Vie d’Europa) leggeranno interpretando alcuni brani e infine faranno intervenire i ragazzi sul palco: hanno infatti un modo estroso per volgere in farsa ciò che è stato detto prima seriamente. Poi verranno premiate le migliori opere.

Che cosa restituiscono di solito i ragazzi di quello che leggono, che tipo di riflessioni fanno?

A volte ci sono dell vere e proprie confessioni, trovano il coraggio di parlare sia delle loro difficoltà sia di sentimenti che nascono dentro di loro, sollecitati da quello che scoprono in un autore: il valore dell’amicizia vissuto in modo più profondo, certi dolori che fanno emergere, una speranza che ricavano. Riconoscono se stessi nel testo e trovano il coraggio di raccontarsi. Tantissimi scoprono che nella vita ci vuole sacrificio, che è una cosa buona. Ricordo ad esempio l’edizione di Oscar Wilde o di Dickens come aiuto grandissimo in questo senso, ma poi tutte, a dire il vero. Abbiamo affrontato autori importanti: per due volte Shakespeare, per tre volte Tolkien, Chesterton, e poi C.S. Lewis, Conrad, Mary Shelley… praticamente tutti i grandi della letteratura inglese. Quest’anno abbiamo detto: “Andiamo anche oltre oceano!”.

La scelta stavolta è caduta su Mark Twain, cosa vi ha indotto a optare per questo autore?

Per tre anni abbiamo dovuto svolgere il convegno via web a causa del Covid. Sono stati anni molto duri per i ragazzi, tenendo presente che hanno fra gli 11 e i 14 anni; qualcuno di loro ha vissuto tre anni delle medie con lezioni solo online. Un’esperienza bruttissima, limitante. Già alla fine dell’emergenza, ma quando ancora dovevamo usare i mezzi telematici, abbiamo pensato che ci voleva un autore che inducesse alla speranza, perciò la scelta cadde su Dickens. L’anno scorso siamo tornati in presenza e abbiamo sottolineato la “riscossa” tramite Tolkien e il suo Signore degli anelli. Quest’anno volevamo un autore avventuroso, che facesse risaltare le caratteristiche dell’adolescenza, ma anche maturo perché, se Tom Sawyer è un ragazzino di buon cuore ma scapestrato, Huckleberry Finn è molto più tormentato e provocante come figura.

Due personaggi che hanno colto nel segno?

Si sono rivelati due personaggi molto apprezzati dagli studenti, anche se non sempre hanno compreso il modo scapestrato in cui questi personaggi potevano permettersi di vivere. Per loro è stato un po’ uno shock. Hanno fatto fatica a capire che si potessero vivere avventure fuori dal proprio guscio, dove si sentono protetti. Poi qualcuno timidamente ha detto: “In effetti è bello quando nel prato si può camminare scalzi”. Oppure “In casa abbiamo messo delle tende per giocare agli indiani”. Altri hanno ammesso esplicitamente: “A me piace vederle in tv le avventure, ma non le vorrei vivere”. Sono rimasti affascinati dalla libertà che questi ragazzi avevano. Di Huck sono rimasti colpiti dal fatto che in una società in cui tutti ritenevano adeguata la schiavitù, pur convinto di fare una cosa immorale tanto da meritare l’inferno, decida di non denunciare Jim, il nero che era scappato: c’è qualcosa che dentro di noi suggerisce cosa è vero, a dispetto di tutto il mainstream del suo tempo.

La frase di Twain che avete scelto per introdurre il convegno (“Stavo tremando, perché dovevo decidere, e per sempre, tra due cose, e lo sapevo bene”) sembra proprio pensata per adolescenti che stanno imparando ad affrontare il mondo. Come l’hanno recepita?

Nelle loro tesine dimostrano di avere riflettuto e di essere arrivati ad affermare che anche per loro “si tratta di scegliere per il bene”. Quelli che fanno la terza l’hanno vissuta pensando alla scelta della scuola superiore. La prima scelta importante della vita. Nel convegno metteremo a confronto tutto questo e lì scopriremo anche noi che occasione è stata la lettura di Mark Twain per allargare mente e cuore dei nostri ragazzi. Siamo molto curiosi!

(Paolo Rossetti)

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