È come un punto vivo, carnale, che si riprende improvvisamente tutta la sua centralità. Quanto il dettaglio della cronaca bolognese sta facendo emergere attorno a Villa Inferno, la casa di Pianoro in cui diversi uomini sui trent’anni hanno costruito un sofisticato giro di sesso – anche con minorenni – in cambio di denaro e cocaina, sembra lontano anni luce dalle questioni di piccolo cabotaggio che tengono in ostaggio la scuola italiana in questo frangente di faticosa ripresa.



Eppure in quella dannata vicenda, fatta di orge e di favori, ci sono tutti gli elementi che dovrebbero indurre più d’uno ad un’appassionata riflessione. Ci sono gli adulti, con il fascino inconfondibile di una vita già vissuta che promette alle giovani ragazze della “Bologna bene” un po’ di simpatia, un po’ di affetto, un po’ di gratitudine. Il loro è il ruolo più perverso, dal momento che la natura li rende istintivamente affascinanti per i ragazzi, consegnando responsabilità che possono portare o alla libertà del giovane o alla sua manipolazione. I tre inquisiti di Pianoro hanno scelto deliberatamente di pervertire il proprio ruolo di custodi in quello di predatori e lo hanno scelto – senza addentrarci in analisi troppo sofisticate – per l’incapacità stessa di essere adulti, di saper custodire e lasciare andare.



Ma in questa orribile storia ci sono pure i genitori della ragazza minorenne – la mamma in particolare – che scopre la figlia “fatta” e non tenta di fare da sé, ma si affida alle autorità competenti, chiede aiuto, facendo il genitore fino in fondo. Perché un padre o una madre non sono la soluzione dei problemi del figlio, ma il punto in cui i problemi dei figli possono diventare domanda e quindi ricerca, strada, appassionata volontà di crescere.

Infine dentro questa cupa narrazione ci sono loro: i ragazzi, con tutto lo sterminato male di vivere che si portano appresso, il bisogno di consistenza, amicizia, solidità. Le ragazzine di Bologna sono state illuse da una promessa di bene, e per questo usate, perché il loro cuore è attesa di quel bene. Villa Inferno per loro era un goffo tentativo di cercare il paradiso, la giustizia, la felicità. Queste insicurezze e queste paure sembrano poca roba davanti ai numeri del Covid o alle necessarie strategie per la riapertura delle scuole. Ma se non ci muoviamo per incontrare domande di questo tipo, se non percorriamo tenacemente tutta la strada che ci riporta dinnanzi al cuore addolorato di questi nostri giovani amici, a che serve riaprire tutto? Se non lo facciamo per educare, per aprire l’anima e la mente al Bene e al Bello, che ci serve ricominciare? Nel cuore di Bologna si muove, inquieta, un’inaudita provocazione, un’impressionante sfida.