La Villa e Tenuta Sant’Agata (a Villanova sull’Arda, comune di 1.670 abitanti in provincia di Piacenza, nella bassa piacentina) fu la casa di campagna acquistata dal genio di Giuseppe Verdi con i proventi delle sue opere; al suo interno vi si stabilì utilizzandola come principale dimora dal 1851 insieme alla moglie Giuseppina Strepponi. Dopo la sua morte, Villa Verdi (come viene comunemente chiamata) fu adibita a museo, e con il tempo la famiglia stessa aprì al pubblico cinque sale al piano terra, il grande parco con le grotte, la ghiacciaia e il ponte rosso, le carrozze e le cantine. Un luogo impregnato di cultura, nel quale addirittura, anni fa fu rinvenuto un baule pieno di bozzetti e schizzi di opere – circa duemila – inediti.



La proprietà oggi è dei discendenti di Maria Filomena Verdi, figlia di un cugino dell’artista, che lui stesso mantenne come una figlia e che abitò l’edificio dopo la morte del maestro. Niente è per sempre, però, si sa: e anche Villa Verdi è rimasta avvinghiata in un garbuglio legale tra quei diversi eredi, con il risultato di essere chiusa il 31 ottobre 2022 per essere messa in vendita.



A distanza di un anno abbondante, scende però in piazza lo Stato per rimarginare la ferita: è notizia del 21 dicembre che il ministero della Cultura ha aperto la procedura di esproprio, intraprendendo nello stesso tempo un percorso per individuare la migliore modalità di gestione. Sempre da parte delle istituzioni, non è da dimenticare che è proprio del 2023 la delibera della Regione che porta a termine la prima campagna di riconoscimento per l’assegnazione del marchio “Case e studi delle persone illustri dell’Emilia Romagna“, marchio nel quale ricade a pieno titolo Villa Verdi. A ogni modo, pare certo che il sito verrà riaperto al pubblico, con la creazione di un percorso che include anche il Parco, il Teatro di Busseto e la casa natale di Verdi, tutto parallelamente alla creazione di una Fondazione mista tra Regione, MiC e Comuni.



Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire. Ma c’è qualcosa al limite dello spettro visivo. Lungo il sentiero, come spesso accade, pare ci si sia dimenticati di qualcosa o qualcuno: gli eredi di Verdi. Perché Angiolo e Maria Mercedes Carrara Verdi (legittimi proprietari in quanto discendenti della famiglia) esprimono stupore e dissapori, preferendo lasciare commenti più netti dopo aver avuto un necessario parere legale. “Siamo molto sorpresi e non in positivo da un atto così drastico e unilaterale. La Villa non era in stato di degradi, c’era stata la volontà di acquisto dello stesso Ministero un anno fa. Consequenzialmente, l’esproprio è un atto totalmente inaspettato e per noi immotivato“, sono le parole di Ludovica Carrara Verdi.

Insomma, una benda che rischia di mandare in agonia la ferita. E neanche si può dire che non ci fossero alternative: perché in aggiunta alla proposta di acquisto dello stesso Ministero, nel gennaio del 2023 Marco Morgan Castoldi, musicista, artista, scrittore e uomo di cultura aveva avanzato una sua ben precisa idea di restauro, basata su una direzione artistica della casa affidata a lui. Un progetto per immergersi nel passato, valorizzare il presente, e imprimere nel futuro la vita, le opere e il pensiero di un genio italiano (per dirla con parole proprio di Morgan, parole con le quali apriva il suo progetto di 17 pagine, dettagliato e accurato).

Su Marco Castoldi si può dire tutto, e infatti tutto si dice e non sempre – quasi mai? – a proposito e legittimamente, ma non che non abbia idee chiare in fatto di arte: nato musicalmente con i Bluvertigo, intraprende la carriera solista nel 2003 con l’album Canzoni dall’Appartamento, costruendosi parallelamente un proprio mondo morale e artistico che vive non solo di musica ma dalla musica prende il via, spaziando nella letteratura, nel teatro operistico, nel cinema.

Anche qua però l’Italia ci mette lo zampino: il racconto che si fa di lui, negli ultimi anni sempre più serrato, prende le mosse dal suo carattere estroverso e colorato, facendo sì che ogni sua presa di posizione venga presa come attacco all’ordine costituito. È facile allora costruire l’assonanza di Maestro (di musica, indiscusso) con mostro, pagando lui probabilmente lo scotto di essere uno degli ultimi romantici liberi da ogni costrizione di parola, realmente disinteressato a cosa può portare un’esternazione poco politcally correct piuttosto che una verità, ma – reato ancora più grave nello showbiz de noantri – artista senza manager, senza raccomandazioni, senza uffici stampa a proteggerlo garantendo una sponda, senza un vero appoggio politico, senza un manager che conta insomma. In sintesi, ci si dimentica del contenuto a discapito di un contenitore che viene raccontato male.

Tutto questo per arrivare a dire che la sua proposta non era certo da scartare a priori: il restauro partiva dalla valorizzazione di antico e moderno, tradizione e innovazione che dialogavano, tra mobili di legno massello, tende che odorano di XIX secolo, e una tecnologia che mostrava in maniera vivida ciò che il tempo aveva sbiadito, tuffandosi nel 1800 per vederlo, annusarlo, toccarlo.

L’idea progettuale alla base era di lasciare tutto intatto, in accordo con la volontà di Verdi che nel testamento del 14 maggio del 1900, un anno prima della sua morte, espressamente comunicava di non modificare nulla e conservare intatta la sua dimora, così come egli l’aveva concepita. I lavori di restauro sarebbero però stati affidati mediante concorso a studenti universitari che si fossero dimostrati meritevoli e capaci nei propri ambiti di competenza.

Insomma, la suggestione forte era quella di attingere a scuole di alta formazione e università per trovare giovani talenti in ambito musicale, artistico e architettonico, per permettere di conservare interni ed esterni integralmente, valorizzando ogni singolo contenuto della dimora.

Inoltre, gli artisti, i musicisti, avrebbero avuto la possibilità di provare gli strumenti originali restaurati, e di lasciarsi ispirare dal luogo dove sono nate le opere di Verdi. Ultimo ma non ultimo, la possibilità di creare un reality show all’interno della Villa: musicisti italiani e internazionali avrebbero potuto comporre la loro opera originale nella struttura, con tre mesi di tempo, ripresi dalle telecamere che avrebbero raccontato la vita quotidiana, le interazioni tra artisti, l’esperienza creativa dei musicisti, in un daily trasmesso sul web come daytime preparatori alle tre puntate serali in onda su una rete nazionale Rai.

Niente di tutto questo, a oggi, pare però sia nei progetti futuri per Villa Verdi. Che è un luogo che oggi dovrebbe tramutarsi in realtà inclusiva e non brutale, quindi oggetto di una riqualificazione e non da aggredire brutalmente.

Resta sempre un po’ di amaro in bocca, comunque vada a finire la faccenda. Perché ci si continua a chiedere come mai si scelga sempre la strada più buia invece che quella più luminosa, perché la cultura debba sempre essere la prima a scontare il disinteresse pubblico, perché quando si è difronte a un’opportunità si scelga di lasciarla scappare invece di afferrarla. Perché, insomma, si scelga sempre la legge di Murphy.

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