Ci sono morti emblematiche. Tutte le morti sono orrende, tutti i dolori penosi. Ma alcune morti sono emblematiche di un’epoca. Lo sono quelle del padre e della figlia che traversavano il Rio Grande, lo è stata quella di Eluana (il cui corpo mai fu mostrato, però) e lo è quella della diciassettenne Noa, olandese, ora lo è quella di Vincent Lambert, in Francia.
Emblematiche di cosa? Del potere che non sa come fare coi fragili. E allora li lascia morire. Il potere degli Stati da cui tanti disgraziati sono costretti a fuggire e dal potere economico che li strangola. Il potere dell’ideologia della vita come prestazione. Il potere della spesa medica sociale. Il potere che decide, insomma, ok, tu puoi morire, tu devi morire. Perché la vita fragile costa troppo. E non solo in termini di soldi, ma anzitutto in termini di domande scomode.
“E io che sono?” gridava Leopardi nel 1830 e tutte le identità posticce e parziali che il potere cosiddetto moderno ci sta buttando addosso non rispondono adeguatamente, e chi ne resta fuori può essere eliminato. Con i timbri del ministero o del presidente della Repubblica. Che sia una ragazzina minorenne segnata dalla depressione per un grave fatto o un malato bloccato da un incidente, ecco “se non ce la fa” l’invito è a toglierti di mezzo.
Lo Stato, che pretende di essere l’unico a decidere nei confronti dell’individuo, come se non ci fosse comunità compassionevole, con atto di totalitarismo dei peggiori, mette il timbro sulla volontà di morire “se non ce la fai” invece che investire risorse e energie per aiutarti.
Le morti emblematiche sono morti un po’ di tutti. Sono morti che non ci mollano. Che portiamo nella bandiera europea di questi decenni. Che portiamo sotto il cuore che ci vogliono spegnere come una ferita viva. Un atto di totalitarismo che fa insorgere le coscienze più vigili. Un atto sulla pelle dei più deboli. E che segna una civiltà. Una terra che non fa nascere e favorisce il morire. Chiamata un tempo Europa.