Vino o birra? Superalcol o hard seltzer, la moda molto stelle&strisce di bevande leggermente alcoliche aromatizzate (nel 2019 un affare da 4 miliardi di dollari)? Sono domande lecite, per un settore che realizza nell’export la sua performance di punta: le vendite di vino oltreconfine l’anno scorso hanno incassato 7,2 miliardi di euro, gli Usa in prima fila. Domande che aleggiano tra gli operatori che affollano da ieri il Vinitaly numero 54, a Veronafiere, già sufficientemente angosciati da due anni in animazione sospesa per la pandemia (il salone ha saltato due edizioni in presenza), il conflitto nell’Est Europa, e l’inflazione al rialzo, con il caro-trasporti, il caro-vetro, perfino il caro-carta, quella delle etichette. Mancavano solo i cambiamenti, quelli climatici che sconvolgono i cicli di coltura, e quelli di gusti, soprattutto tra i giovani statunitensi: secondo i dati forniti ieri dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly, negli ultimi tre anni gli Usa hanno perso 12 milioni di consumatori regolari di vino (passati da 84 a 72 milioni), e quasi la metà dei wine lovers sono concentrati nella fascia più anziana – quella dei baby boomers (oltre 57 anni). In rialzo invece nei giovani sia le alte gradazioni (tequila, rum, rye) che la birra.
Così, si cerca di arruolare influencer e testimonial, si studiano campagne mirate per rilanciare il wine-way of life, l’attrattività di stili mediterranei bisognosi di una spolverata. Una sfida per i vignaioli italiani, in perenne transito tra l’artigianalità di un primario diffidente alle mutazioni e le dimensioni industriali di un settore che l’anno scorso ha prodotto 50 milioni di ettolitri di vino, quasi il 19% della produzione globale, in crescita dell’1,5% sull’anno precedente. Numeri e posizioni confermate anche quest’anno (trend previsto in salita almeno fino al 2025, soprattutto per le bollicine), più di Francia e Spagna, che al contrario segnano sensibili flessioni.
Così, nonostante i gusti dei giovani americani, il 2021 ha visto il record storico per le esportazioni di vino italiano (+12% in valore), anche sotto la spinta delle riaperture della ristorazione a livello internazionale. Lo sostiene un’analisi Coldiretti su dati Istat, presentata in occasione del Vinitaly, dove l’associazione ha portato “Tutti i colori del vino”, una sorta di fuorisalone per scoprire la biodiversità e le qualità dalle quali nascono le più prestigiose bottiglie del vino made in Italy. Con le minacce che si diceva: gli effetti della guerra, tra sanzioni, blocchi, tensioni commerciali e aumento dei costi di produzione ma anche l’emergenza bottiglie con aumenti dei prezzi ma anche ordinativi a rischio con le consegne fortemente rallentate che potrebbero avere un impatto pesante sulle vendite all’estero, la metà del totale. L’invasione dell’Ucraina infatti “mette a rischio quasi 150 milioni di euro di export di vino italiano in Russia, che quest’anno aveva raggiunto il record storico con una crescita del 18% rispetto al 2020” sostiene Coldiretti. Oltre al Prosecco che nell’ultimo anno ha fatto registrare un boom del +55%, i vini più gettonati a Mosca sono l’Asti e i Dop toscani, siciliani, piemontesi e veneti.
Le sanzioni europee hanno preso di mira le vendite di prodotti vinicoli sopra il valore di 300 euro ad articolo andando a colpire una selezione ristretta di vini italiani, come ad esempio alcune bottiglie di Sassicaia, Barolo, Amarone, Brunello di Montalcino. “Ma a preoccupare – sottolinea Coldiretti – sono la svalutazione del rublo e le difficoltà nei pagamenti persino per gli ordini già effettuati. Alcune spedizioni sono state interrotte, mentre un certo numero di operatori ha ridotto il periodo di differimento dei pagamenti o l’ha annullato del tutto. Mentre nei ristoranti russi è già allarme per le scorte di bottiglie made in Italy, divenute sempre più popolari”. Difficoltà che non frenano la corsa delle bottiglie tricolori negli altri mercati: Stati Uniti nel 2021 a +18%, primo mercato di riferimento; Cina +29%; Francia +18%; Germania +6%; Gran Bretagna +5%, grazie soprattutto ai risultati del Prosecco. E proprio le bollicine italiane nel 2021 hanno sfondato quota 1,8 miliardi, con una crescita del 24%.
“L’Italia può ripartire dai punti di forza con l’agroalimentare, come il vino, che ha dimostrato resilienza di fronte la crisi e può svolgere un ruolo di traino per l’intera economia – dice il presidente di Coldiretti Ettore Prandini -. Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia made in Italy serve anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. Una mancanza che ogni anno rappresenta per il nostro Paese un danno in termini di minor opportunità di export, al quale si aggiunge il maggior costo della “bolletta logistica” legata ai trasporti e alla movimentazione delle merci”.
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