Dopo la carne rossa, già caduta nel mirino della Ue qualche anno fa, ora tocca anche al vino. Il Piano d’azione per la lotta al cancro della Commissione europea, “Europe’s Beating Cancer Plan”, presentato all’inizio di febbraio a Bruxelles, sferra di fatto un duro colpo alla produzione vitivinicola. Con riflessi destinati a penalizzare in particolare il nostro Paese, storica patria di Bacco.
Il documento introduce il principio secondo cui il consumo di alcol sia da considerare dannoso a prescindere dalle quantità assunte e dalla tipologia della bevanda scelta. Ma non solo. Raccomanda anche l’adozione di claim allarmistici sul tipo di quelli che campeggiano sui pacchetti di sigarette. Infine, esorta a una revisione della fiscalità sulle bevande alcoliche e propone il ridimensionamento dei fondi per la promozione del vino sui mercati esteri. Fondi che per la sola Italia sono stimati in oltre 100 milioni di euro l’anno.
Le voci della protesta
Prevedibile quindi la levata di scudi da parte delle associazioni che rappresentano i produttori italiani. “La comunicazione del Piano di azione della Commissione europea per combattere il cancro è preoccupante – afferma in una nota l’Unione Italiana Vini, associazione che rappresenta l’85% dell’export italiano di vino -. Troviamo forviante il principio per il quale il consumo di alcol sia considerato dannoso a prescindere da quantità e tipologia della bevanda. Ancora più inique di questa premessa sono le proposte del piano che vedono assimilare il consumo di vino al fumo, con la conseguenza di azzerare un settore che solo in Italia conta su 1,3 milioni di addetti e su una leadership mondiale delle esportazioni a volume”.
Una presa di posizione netta, dunque, rincarata anche dalle parole del segretario generale dell’associazione, Paolo Castelletti: “Siamo preoccupati dalle ricette proposte dalla DG Sante (Direzione generale per la salute e sicurezza alimentare, ndr): claim obbligatori che demonizzano il vino, da un lato, e, dall’altro, le proposte di rivedere la tassazione sull’alcol e la restrizione degli acquisti transfrontalieri che rischiano di creare fenomeni di mercato nero e di contrabbando. Non sono misure risolutive a favore di un consumo responsabile, che rimane l’unica vera ricetta contro i rischi alcol-correlati. L’intenzione, anch’essa contenuta nella comunicazione, di modificare la policy in materia di promozione potrebbe poi avere un serio impatto sugli strumenti della politica agricola comune che hanno l’obiettivo di aumentare la competitività delle imprese sui mercati internazionali”.
E non meno allarmato è il grido d’allarme lanciato da Confagricoltura Toscana, che vede nel provvedimento “la batosta finale dopo gli ultimi mesi difficilissimi, una beffa dall’Unione europea, che in questa situazione drammatica, apre di fatto una guerra alla produzione mediterranea e al Made in Italy”. Una sentenza che lascia, quindi, poco spazio alle interpretazioni. “Forse non ci rendiamo conto della portata di questa decisione se sarà approvata – rincara Francesco Colpizzi, presidente Federazione Vitivinicola di Confagricoltura Toscana -. Una scelta che danneggerebbe in modo massiccio soprattutto piccoli e medi coltivatori che vivono da decenni grazie alla terra. Una fetta consistente dell’economia regionale si basa infatti sull’esportazione di vino, carni e salumi. È una colonna portante del nostro Pil”.
Le risposte urgenti
Sul piatto sembra insomma esserci la sopravvivenza di una voce fondamentale del Made in Italy alimentare. E per questo le richieste di intervento sono precise. Confagricoltura Toscana reclama un’azione di tutela da parte del Governo e della Regione: “Il presidente Eugenio Giani e i vertici di Stato si facciano sentire. Questo è un colpo diretto alla nostra economia, all’identità gastronomica e produttiva del Paese – dice Colpizzi -. Non possiamo accettare alcuna etichetta allarmistica. Davvero stiamo paragonando un panino al prosciutto o un bicchiere di vino, spesso indicato anzi come salutare, al consumo delle sigarette? Quello europeo è un piano di azione che si spaccia a tutela della salute senza avere solide basi medico-scientifiche”.
Un punto, quest’ultimo, su cui insiste anche la Uiv. Secondo l’associazione, il rischio di cancro non può essere valutato in maniera isolata, ma nel contesto del modello culturale, alimentare, delle quantità del bere e dello stile di vita. “Sono sorpreso – dice Sandro Sartor, responsabile tavolo vino e salute di Uiv e presidente di Wine in Moderation, l’associazione europea che promuove la cultura del consumo consapevole e del bere responsabile – nel leggere che non venga fatta distinzione tra uso e abuso in questo testo. Siamo del tutto convinti che il consumo moderato e responsabile del vino, in particolare all’interno della dieta mediterranea e combinata con un sano stile di vita, sia del tutto compatibile con una vita sana e, come confermato da numerose evidenze scientifiche a tutti disponibili e accessibili, non sembra far aumentare il rischio di cancro”.
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