Nessuno voleva la morte di Marco Vannini: lo ribadisce Viola Giorgini, assolta da ogni accusa. In attesa che la Corte di Cassazione torni a pronunciarsi sul caso, lei scrive una lettera pubblicata da Il Dubbio. «Si parla di omicidio volontario, quindi si sostiene che volessero la morte di Marco, questo non è vero! Io c’ero e questo non è vero!», scrive la fidanzata di Federico Ciontoli, condannato per concorso anomalo in omicidio volontario a 9 anni e 4 mesi insieme alla madre Maria Pezzillo e alla sorella Martina, mentre Antonio Ciontoli è stato condannato a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale. «Io e Federico abbiamo avuto paura di esporci, l’avremmo sempre voluto fare ma non sapevamo da dove iniziare e la verità è che tutt’ora non lo sappiamo», ha proseguito Viola Giorgini, puntando il dito contro chi li ha insultati, offesi e minacciati in questi anni. «Io capisco che sia difficile credere ora alla nostra buona fede, ma la vita ci è crollata addosso in un secondo e un secondo dopo eravamo in tv, un secondo dopo ancora eravamo degli assassini». Ma ora Viola Giorgini parla nella convinzione che l’esito del processo sia stato già scritto, spiegando che il silenzio di prima era dettato dal non sapere come muoversi e dalla volontà di lasciar parlare legge.



«Marco da sei anni a questa parte è sempre stato presente in ogni pensiero, non c’è stato giorno in cui non abbia cercato di dividere le mie emozioni a metà», scrive Viola Giorgini su Marco Vannini. Nella lettera prova a riportare quel disagio che vive da sei anni, ad esprimere il dolore per quanto accaduto e per quello che stanno provando i genitori dell’ex cognato. «Non c’è stato giorno e festività in cui io non abbia pensato a Marco, alla sua sofferenza e a quella di Marina e Valerio, senza mai concedermi per un momento la possibilità di essere pienamente felice». Viola Giorgini spiega anche di conoscere poco Marco, ma dopo quello che è successo è una parte indelebile delle loro vite. «Ricordo quando io e Federico, non potendo uscire liberamente per via della pressione dei giornalisti e per la paura di essere riconosciuti e aggrediti, andavamo a camminare al mare in inverno e nelle giornate peggiori, laddove eravamo certi di non incontrare nessuno». Quei luoghi isolati sono diventati la loro quotidianità. Erano tristi, soli e arrabbiati, ma si sentivano fortunati perché vivi. «Noi siamo ancora in vita e Marco no e al suo posto ci sarebbe potuto essere uno di noi. Da quei momenti ho iniziato a capire che in un attimo la vita di chiunque può cambiare, quando meno te lo aspetti e quando sei meno preparato».



IL PROCESSO “MEDIATICO”

La consapevolezza di ciò ha cambiato ogni prospettiva per Viola Giorgini, che nella sua lettera pubblicata da Il Dubbio si scaglia contro i media. «Non smetterò mai di dire che tanti programmi e giornali hanno “giocato” davvero sporco appropriandosi della nostra vita come fossimo marionette. (..) In questi anni ho scritto tre lettere ai media, nessuno ha mai risposto. Sanno di essersi comportati in maniera meschina e poco umana ma non gli interessa, in fondo noi siamo solo immagini e voci mandate in tv». Secondo Viola Giorgini quello che lei chiama «processo mediatico» ha avuto un ruolo nelle decisioni prese dai giudici. «Abbiamo visto giornalisti urlare e gioire all’esito dell’ultima sentenza, come si può gioire di una cosa del genere? Come si può festeggiare per una possibile carcerazione?». Nella lettera però torna su quella serata tremenda. «Io c’ero quella sera e mi sono sentita, mi sento e mi sentirò sempre in colpa per essermi fidata di Antonio, per essere stata un’immatura, per non essere riuscita ad andare oltre e a capire cosa stesse succedendo». Ciò di cui si sente responsabile è dunque non aver avuto autonomia di pensiero per agire. «Non ho mai negato gli errori commessi, che essi siano stati indotti o meno… ma nessuno ha voluto la morte di Marco, nessuno!».



Non mancano attacchi a Quarto Grado e Chi l’ha visto: «Ho sentito spesso le Iene parlare di cyber bullismo, Quarto Grado e Chi l’ha visto parlare di violenza in generale, ma possibile che nessuno si renda conto dell’assonanza con quello che hanno fatto a noi e a tante altre persone?». Viola Giorgini nella lettera non nasconde neppure il fatto che il fidanzato Federico Ciontoli abbia pensato alla morte come via d’uscita da questa vicenda. Inoltre, non ha gradito che i genitori di Marco Vannini abbiano portato la sua lettera, quella che aveva scritto loro, in tv. «Da quel momento ho capito che qualsiasi cosa avessi fatto o detto sarebbe passata per le televisioni e i giornali e questo mi bloccò dal fare altro. Quello che volevo dire a loro era troppo personale per gettarlo in pasto agli sciacalli». D’altra parte, è consapevole del fatto che avrebbe potuto fare di più, «chiedere scusa per non essere stata abbastanza quella sera».

LA FRASE A FEDERICO CIONTOLI

Nella lettera c’è anche un riferimento a quanto detto da Federico Ciontoli nella caserma dei Carabinieri di Ladispoli, quando venne a sapere che volevano fare accertamenti solo su lui, il padre e la sorella. «Mi esplicitò il timore che i Carabinieri (i quali a un certo punto avevano iniziato ad assumere un atteggiamento più rigido e freddo nei nostri confronti rispetto all’inizio) trovando le sue impronte sulle armi, potessero dubitare del fatto che a sparare fosse stato davvero Antonio». In questi anni è emerso, infatti, il sospetto che potesse essere stato Federico Ciontoli a sparare, un’ipotesi smentita dalla fidanzata Viola Giorgini, perché ricorda di averla vista quando lui la portò al piano inferiore della casa, mai prima, quando era stato con lei. Così spiega perché gli disse in caserma «ho detto che l’ho vista solo in quel momento così t’ho parato un po’ il culo a te», un’affermazione che ha destato diversi dubbi. «Sembra effettivamente che io abbia omesso o nascosto qualcosa, ma non è così. Ho utilizzato un linguaggio non corretto. Io con quella frase intendevo solo tranquillizzare Federico del fatto che avevo ribadito durante l’interrogatorio (che sembrò davvero accusatorio) che fino a quel momento né io né Federico avevamo visto le armi e che quindi, nonostante trovassero le sue impronte, non era stato Federico a sparare. Così avrei difeso Federico da quell’ipotetica accusa, che lo aveva spaventato ormai da ore».