Chissà se la Presidente Meloni a Vilnius per ragioni planetarie si è ricordata che proprio lì vi è la sede dell’Istituto europeo di genere che sul contrasto alla violenza ha un ruolo fondamentale in quanto monitora la situazione sempre più feroce. La violenza contro le donne continua a essere un ostacolo allo sviluppo, alla pace così come alla realizzazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze per il raggiungimento dell’uguaglianza. Si può affermare che la promessa degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdg) – di non lasciare nessuno indietro – non può essere mantenuta senza porre fine alla violenza contro le donne e le ragazze. E a che punto siamo in Italia?
Dal 1° gennaio al 28 maggio 2023, segnala il report del Viminale, in Italia sono stati registrati 129 omicidi. Le vittime donne sono 45, e 37 di loro sono state uccise in ambito familiare. È una violenza dilagante che travolge intere famiglie e accomuna sempre più donne, unite dallo stesso tragico destino. Il Consiglio dei ministri ha approvato il 7 giugno un disegno di legge, ma il testo è stancamente l’ennesimo intervento legislativo, partorito dall’urgenza di dare risposte a un fenomeno ancora del tutto fuori controllo e che soprattutto quotidianamente pervade le prime pagine dei giornali.
Tanti propositi accompagnano il provvedimento con cui il “Governo intende velocizzare le valutazioni preventive sui rischi; rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva; migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza”. I numeri della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere, fermi a un anno fa, sono paurosi e bisogna dire che inspiegabilmente sono bloccati i lavori di quest’organo bicamerale e anche le audizioni.
Il disegno di legge dovrà ovviamente passare dalle Camere prima di diventare norma, verosimilmente non senza modifiche o aggiustamenti. A partire dall’articolo 1, che oggi dispone il rafforzamento delle misure in tema di ammonimento e di informazione alle vittime, ampliando i casi per cui il provvedimento del questore è applicabile: non più solo stalking, ma anche “reati spia”, ovvero percosse, lesione personale, violenza sessuale, violenza privata, minaccia grave, atti persecutori, revenge porn, violazione di domicilio, danneggiamento. La pena sarà aggravata per crimini compiuti da chi è già stato ammonito, anche laddove la vittima sia diversa da quella che ha richiesto e ottenuto l’ammonimento. Con la reiterazione del reato si procederà d’ufficio, al di là delle intenzioni della diretta interessata.
Ma proprio su questi aspetti non si può non essere molto preoccupati sul rafforzamento dell’ammonimento e sulla convocazione in Questura anche senza bisogno di denuncia da parte della donna. La prima misura perché espone ancor di più la donna al pericolo, la seconda perché non tiene conto della volontà della donna. Perché questo ddl viene ritenuto una risposta ai femminicidi? Di fatto è una risposta a un reato quando è già stato commesso. Non ci sono novità, ma solo allargamenti di misure già esistenti come il braccialetto elettronico, di cui tra l’altro si fatica addirittura a trovare disponibilità perché non ce ne sono a sufficienza.
Il testo detta anche misure in materia di formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi, intervenendo nella direzione di una trattazione spedita degli affari in materia di violenza di genere e di violenza domestica. Ma la disposizione – tentando di agire sui tempi – finisce per limitarsi a rivedere i termini, imponendo al pubblico ministero di valutare, senza ritardo e comunque entro trenta giorni la sussistenza dei presupposti di applicazione delle misure cautelari. Il tutto, diciamolo, rischia di funzionare poco se solo guardiamo alla solita clausola di invarianza finanziaria, cioè senza risorse aggiuntive. E di fatto la differenza tra la prevenzione in senso giuridico e quella di cui parla la Convenzione di Istanbul è enorme, perché la prevenzione su cui agiscono quotidianamente i centri antiviolenza è cambiamento culturale e contrasto alla vittimizzazione istituzionale, che passa attraverso percorsi educativi per abbattere stereotipi e per promuovere libertà, non certo mettendo in mostra il dolore delle vittime, ma sostenendo gli interventi nelle scuole e nei centri antiviolenza.
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