E ci risiamo : il 25 novembre ormai da parecchi anni si rilancia il dramma della violenza contro le donne che è un fenomeno trasversale alle classi sociali e alle culture. In base ai dati statistici raccolti dall’Onu, una donna su cinque subisce nel corso della sua vita almeno un’episodio di violenza. Oltre il 75% delle violenze subite dalle donne nasce all’interno della famiglia a opera del marito, convivente, amante, fidanzato, partner o ex partner. Tra gli autori di violenza possono esserci anche genitori e altri congiunti che commettono violenza per questioni di genere, per esempio per obbligare le donne a matrimoni combinati, o perché queste non si sottomettono a comportamenti imposti dalla religione, dalla società, dalla morale famigliare, ecc.
In Italia e nel mondo la violenza colpisce una donna su tre e solo il 10% denuncia. La violenza si può manifestare come violenza fisica, psicologica, sessuale, economica, sociale. Ma abbiamo ben capito cosa significa? La violenza fisica comprende qualunque atto che ferisce, colpisce il corpo delle donne a mani nude o con oggetti. Quella psicologica comprende offese, ingiurie, denigrazioni, umiliazioni, intimidazioni, minacce, controllo, ecc. che pongono la donna in una situazione di paura, ansia, e hanno l’obiettivo di ottenerne la sottomissione. La violenza sessuale comprende qualunque contatto sessuale non desiderato e imposto alla donna, molestie, stupro. Viene spesso rimossa dalle donne quando è il partner a commetterla.
Le vittime non sempre reagiscono perché può accadere che in caso di aggressione si blocchino , si tratta di una forma di difesa perché temono ancora più cattiveria dell’aggressore in caso di reazione. E la violenza sociale comprende qualunque forma di isolamento per la vittima da una rete di contatti sociali, amicali e famigliari per aumentare il proprio potere e controllo sulla sua vita. Viene attuata con la minaccia o con la manipolazione ovvero colpevolizzando la vittima di non dedicarsi al partner o di tradirne la fiducia e l’amore.
Poi c’è la violenza economica che comprende sottrazione e controllo dello stipendio o delle risorse economiche della donna, l’imposizione di debiti contratti sotto minaccia o inganno, abbandono economico. E allora non bastano le panchine e le scarpe rosse o i codici rossi con magari i bracciali che controllano il molestatore o a volte sempre di più l’assassino che poi non funzionano. Chi decide, chi comanda, deve investire seriamente per estirpare e contrastare questi delitti che aumentano vertiginosamente. Ci vogliono risorse serie e non per gli enti certificatori o gli incentivi per le aziende che comprano la cd certificazione, ma che poi non assumono donne (a quasi tre anni dalla certificazione non abbiamo uno straccio di monitoraggio dell’impatto sull’occupazione della certificazione di genere pagata con le risorse del Pnrr che doveva servire per aumentare l’occupazione femminile perché il lavoro libera le donne).
Ci vogliono risorse concrete per i servizi per l’infanzia, i congedi parentali, le case rifugio per le donne ferite e i loro bambini, contro la violenza sulle donne ci vuole cultura e azioni che significa fare delle leggi per la parità sul congedo per la nascita di un figlio (anche solo contratti), come accade già in molti Paesi del centro e del nord Europa, dove è passato il concetto che anche il padre ha il dovere della cura e dell’educazione dei propri figli. L’Italia, invece, dà ai padri solo pochi giorni di congedo, contro i 13 giorni spagnoli e i 73 francesi. Le conseguenze per il nostro Paese sono più che negative, perché non si tratta solo del sottoutilizzo della forza lavoro femminile, ma anche della sua componente più istruita.
Nel recente rapporto di Eurofound sul tema, si afferma infatti che siamo il Paese europeo che più avrebbe benefici da un aumento dell’occupazione femminile. Il costo complessivo per l’Italia della sottoutilizzazione del capitale umano femminile è pari a 88 miliardi di euro, cioè al 5,7% del Pil. Un aumento delle donne occupate equivale all’aumento della ricchezza dell’intero Paese. E servono soprattutto organizzazioni del lavoro nelle aziende che promuovano la flessibilità e il bilanciamento dell’orario di vita e di lavoro e lo smart working anziché eliminarlo come si sta facendo ora. Serve buonsenso perché alle donne italiane che vogliono trovare e restare al lavoro e mettere al mondo dei figli la violenza più grande è costringerle a scegliere tra contribuire alla vita sociale e dunque il lavoro e la comunità affettiva. Equivale anche alla libertà e il diritto di non subire nessuna forma di violenza.
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