Il pedopsichiatra francese Maurice Berger sulle pagine del quotidiano Le Figaro ha pubblicato una riflessione sulla violenza che sembra sempre più dilagante nella società, a fronte soprattutto dell’attacco che si è verificato alcuni giorni fa a Crepol e che è costato la vita al 16enne Thomas Perotto. Secondo lui, però, a differenza della concezione comune “non è tutta la società che diventa violenta, ma alcuni dei suoi membri”.



Berger, infatti, si dice reticente ad “all’utilizzo del termine imbarbarimento che è troppo generale”, perché incolpando tutta la società per la violenza “si rischia di creare una sorta di cappa che evita di indicare con precisione le caratteristiche di questi aggressori”. Ragionamento analogo, a suo avviso, vale anche “per il termine ‘decivilizzazione’, tra le espressioni più inesatte che ci possono essere, perché la maggior parte di questi aggressori non sono mai stati civilizzati durante la loro infanzia”. Secondo Berger la primissima causa della violenza, che “queste espressioni tendono a nascondere”, è “l’incapacità dei nostri dirigenti di imporre le misure necessarie”.



Berger: “La violenza scaturisce dall’assenza di educazione”

Chi commette violenza, spiega ancora Berger, trae una sorta di piacere perverso “nell’uccidere, ferire e vedere scorrere il sangue, ma anche nel distruggere una ricchezza relazionale che è incapace di vivere”. Questione, questa, che affonda le sue radici nel “funzionamento clanistico” di una certa parte della società, “con codici d’onore o comunitari, con regole collettive anche se sono assolutamente criticabili”.

Ma quando quei codici vengono meno, sottolinea Berger, non rimane altro che “l’ebbrezza della barbarie” e della violenza, che rappresentano per i violenti “una straccio di identità”, figlia, questa, “di un’educazione terribilmente lacunosa”. Per queste persone, spiega, “uccidere non è così grave, perché consiste soltanto nell’accelerare un processo naturale”, un ragionamento che “va oltre l’assenza di empatia” perché secondo Berger nasconde “l’incapacità di capire cos’è un legame con gli altri, il sentimento di tristezza, di perdita. Tali individui”, conclude il pedopsichiatra, “non sono capaci di distinguere il bene dal male, ed è la nozione di permesso e vietato che sarebbe prioritario inculcare fin dall’inizio della scuola media, non solo in termini morali, ma a partire dal Codice penale”.