Tra le polemiche nate dopo la terribile morte di Giulia Cecchettin ci sono quelle sulla cultura trap, i suoi artisti e i testi delle loro canzoni e in effetti molti testi suscitano perplessità e persino indignazione. Ma non bisogna cadere nella trappola di una semplificazione tranquillizzante come se il problema dei femminicidi fossero i cattivi maestri della trap, che traviano le giovani generazioni. Non è così. Sfera Ebbasta, ad esempio, è il cantante più ascoltato e scaricato da Spotify in Italia e i suoi concerti riempiono gli stadi di ragazzi. Il suo messaggio, il suo stile, la sua poetica incontra e affascina, corrisponde in qualche modo a un sentire comune e diffuso, soprattutto dei più giovani. Quindi dobbiamo riconoscere che il trap più che un modello, un esempio, che plasma gli animi e il modo di sentire dei ragazzi, è un “descrittore” di un mondo che è già dentro di loro. Sfera Ebbasta è un artista e l’artista fa proprio questo: riformula e rende esplicito ciò che è dentro di noi, lo rende intellegibile ed esemplare e per questo è ammirato e seguito. I ragazzi, in qualche modo, vi si “riconoscono”.
Ma proprio come ogni fenomeno espressivo, le composizioni dei trap debbono essere “lette”, decodificate, interpretate ed elaborate. E questo compito è particolarmente impegnativo per ragazzi adolescenti e preadolescenti (che sono il “pubblico” dei trap) dove gli strumenti cognitivi ed emotivi per questo lavoro si stanno ancora formando. Quindi la questione ha due aspetti, riassumibili in queste domande: perché i nostri ragazzi hanno “dentro” emozioni e sentimenti che risuonano in modo così affascinante e coinvolgente con certi testi e certi personaggi? E come questa risonanza può essere compresa, interpretata ed elaborata senza impossibili (e inutili) interventi censori, e fatta evolvere verso una crescita ed una maturazione equilibrata e non scivolare verso un eccesso identificativo, con i suoi correlati espliciti di violenza, e via dicendo?
Tutto questo non riguarda appena il fenomeno trap, ma altri aspetti dei nostri tempi a cui sono esposti, anzi “immersi” i ragazzi, come ad esempio la pornografia. Nei ragazzi che riempiono i concerti, le parole e la musica del trapper risuonano in modo potente, ma nel loro cuore c’è molto altro. La percezione di sé a 12-14 anni è ancora confusa, l’identificazione dei propri desideri e obiettivi, il riuscire a “mettere in fila” in modo efficace e coerente le cose, insomma capire chi siamo e cosa vogliamo, sono funzioni che si sviluppano col tempo (e con la maturazione del sistema nervoso e il progredire delle interazioni sociali), e non possono essere del tutto definite a quell’età.
È qui che entra in gioco l’educazione, la funzione dell’adulto. Questa funzione è profondamente in crisi, quasi in coma, perché i mondi che si debbono incontrare sono sideralmente lontani. Cinquant’anni fa, cercare di accompagnare un adolescente, introdurlo alla comprensione del reale significava introdurlo ad un reale conosciuto e sperimentato. I principi, i valori, i codici erano comuni tra educatore ed educando. Oggi come fa un boomer a spiegare un fenomeno come la pornografia diffusa a un ragazzo di 11 anni? Come calcolare l’impatto sulla sua vita affettiva, sul suo sviluppo psicosessuale e finanche neurofisiologico? Come guidarlo in questa giungla di cui neanche gli adulti conoscono la mappa? L’immagine della distanza tra i mondi è ben sintetizzata dall’immagine, così familiare a tutti i genitori e insegnanti, del “ragazzo con le cuffie”, queste protesi che hanno la doppia funzione di isolare da un mondo e immergersi in un altro.
Educare significa, in questi casi, innanzitutto riuscire a ri-connettersi coi ragazzi e condividere l’ascolto dei brani, avvicinarsi a certi fenomeni carichi di curiosità e di fantasia. Rendere significativa, simpatica e aperta la domanda che spesso facciamo in modo rabbioso o rassegnato: “ma come fai a sentire questa roba?”. Il cercare il buono di certe canzoni, ascoltarle insieme, il “goderle” insieme non significa stravolgere il proprio ruolo adulto, fingersi o scimmiottarsi “amici”. Significa invece trovare dei punti dove si può iniziare a porre delle domande e a decodificare i messaggi.
Prendiamo il brano Anche Stasera del nostro Sfera Ebbasta, un testo che dice: “Sei soltanto mia, mai più di nessuno/ Odio chi altro ti ha avuta o fatto sentire al sicuro…/ Dimmi che sei sincera/ Per te vado in galera…/ Ma, se domani finisce, è un problema”. Il testo, nello stile del personaggio, descrive una relazione in un contesto di eccesso, emozioni intense, quasi rabbiose, “a fondo scala” con espressioni come “scopiamo tutta la notte”, “ti ho detto cose, ero fuori di me”, “A duecento sopra ad un Carrera” e così via. Ora in questo contesto è ben lecito chiedersi: come risolverà quel “problema” il cantante “se domani finisce”? o come si comporterà se pensa che la sua partner “non sia sincera” (dato che mette in chiaro che per lei “va in galera”)? O se si accorge che la ragazza “non è più solo sua” e che c’è un altro che la fa “sentire più sicura”? dato che in un’altra canzone Sfera ci informa che ha un amico che ha una Glock, fossi in lei qualche preoccupazione ce l’avrei.
Presi così questi testi mettono “con le spalle al muro”. Eppure credo che sia possibile lavorare e decodificare queste espressioni. “Se finisce è un problema”, in fondo, contiene un desiderio di assoluto buono, il desiderio che un rapporto non finisca, che sia per sempre. Occorre aprire alla domanda se questo desiderio possa trasformarsi in una pretesa. Se lei sta con te investita dalla pretesa e non dal desiderio, cioè, diventi un feticcio senza libertà e impaurito, sia la stessa persona che “si ama davvero (quando scopiamo)”. È un compito impossibile? No. Ma occorre avere, oltre a una immensa passione, uno sguardo di positiva fiducia nel ragazzo che si ha davanti, uno sguardo su di lui che non ne veda prima di tutto i limiti ma quello che di grande ha dentro. E i ragazzi quando hanno davanti un adulto così, lo capiscono.
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