Ventisei morti, 830 casi di contagio, casi sospetti in Brasile, Stati Uniti, Scozia e uno anche nel nostro paese. Insomma, è paura pandemia, una epidemia cioè con la tendenza a diffondersi rapidamente attraverso territori lontani o addirittura continenti diversi, per il Coronavirus, diffusosi da un mercato alimentare nella città cinese di Wuhan. Le ragioni della patologia non sono ancora chiare: si era parlato di virus diffuso dai pipistrelli ai serpenti e quindi all’uomo, ma ancora non ci sono conferme. È invece confermata l’abitudine cinese di vendere animali selvatici nei mercati alimentari: un piatto assai diffuso, ad esempio, è la zuppa di pipistrello. Abitudini che non rispettano alcuna misura sanitaria, come spiega lo scrittore e giornalista, già corrispondente da Pechino per La Stampa e Il Sole 24 Ore, Francesco Sisci: “Dopo la Sars, il virus dell’influenza aviaria che dalle galline si era diffuso tra gli uomini nel 2003, sarebbe il secondo caso di una pandemia che origina dalla Cina. Il che dimostra che le condizioni sanitarie e alimentari del paese non sono in grado di evitare queste epidemie, perché fortemente deficitarie”. I mercati cinesi, dunque, non sono sottoposti ai necessari controlli.
Sembra, però, che in questo caso le autorità cinesi, a differenza di quanto accaduto con la Sars, si siano mosse per tempo e non abbiano tenuto nascosto ciò che sta succedendo. Ci sono cose che non sappiamo?
Rispetto a quanto accaduto con la Sars siamo davanti a un miglioramento netto del comportamento assunto dalle autorità. Allora trascorse qualche mese prima che l’Organizzazione mondiale della sanità fosse messa al corrente, mentre oggi sembra siano passati solo 26 giorni.
È un lasso di tempo accettabile?
Non ho idea, non sono un epidemiologo, ma direi di sì. Certo, hanno dovuto valutare il caso, visto che si parla ancora di virus misterioso, ma almeno si sono potute assumere le prime misure di difesa.
Il fatto che questo sia il secondo caso consecutivo di pandemia nell’arco di 20 anni proveniente sempre dalla Cina cosa ci dice?
Ci dice che stanno venendo alla luce alcuni problemi strutturali all’interno della Cina stessa. In 17 anni questa è la seconda minaccia di grande pandemia e tutte due vengono dalla Cina. La prima volta poteva essere casuale, la seconda ci fa capire invece che siamo di fronte a un problema strutturale.
Quale problema strutturale?
Il problema ha due facce: il passaggio del virus da animale a uomo in entrambi i casi e gli scarsi, o quanto meno inefficaci, controlli sanitari attuati nei mercati cittadini. I cinesi mangiano di tutto, questo è vero, però i mercati nei paesi sviluppati sono controllati. Controlli che in Cina, evidentemente, non ci sono o sono blandi.
Perché succede questo?
Perché le autorità, attraverso questi mercati incontrollati, permettono ai contadini di guadagnare qualcosa in più. Le condizioni di produzione in cui versa la zootecnia nelle campagne cinesi sono ancora molto primitive. Non ci sono allevamenti e produzioni su larga scala, che garantiscono maggiori controlli igienici. La produzione è diffusa sul territorio, spesso con norme igieniche fuori controllo, perché i contadini hanno piccoli appezzamenti, allevano pochi maiali o poche vacche.
È impossibile introdurre un’agricoltura più moderna?
Oggi ancora il 40% della popolazione cinese vive nelle campagne, contro forse il 10% nei paesi sviluppati. Se si ha un’agricoltura moderna, con grandi appezzamenti e grandi allevamenti di animali, si è costretti a espellere dalle campagne centinaia di milioni di persone. Questa espulsione dalle campagne sarebbe dovuta avvenire anni fa, ma per attuarla serve un sistema di sicurezza sociale e di welfare, che in Cina non c’è, perché il governo non ha risorse.
La Cina potrebbe accettare l’aiuto di paesi stranieri dal punto di vista sanitario?
Non credo sia questo il problema. Ci possono essere tutti gli aiuti stranieri del mondo, ma chi si prende a carico 300 milioni di cinesi che non avrebbero più da vivere nelle campagne? Se si cambia tipo di agricoltura, avendo come in Occidente allevatori che possiedono centinaia o migliaia di suini, si dovrebbero poi lasciare senza lavoro altri milioni di contadini e allevatori. L’agricoltura cinese è inefficiente, ma se la si rende efficiente e sana si deve espellere il 20% della popolazione dalle campagne. E senza un sistema nazionale di sicurezza sociale non si può fare. È un problema tutto interno alla Cina. Non c’è un sistema di welfare perché manca un minimo di sistema di sicurezza sociale.
Quanto sta accadendo, potrebbe diventare un problema anche politico, interno e internazionale?
È il secondo problema della Cina. Questa pandemia arriva insieme alla diatriba commerciale in atto con l’America, alla questione aperta dalle proteste di Hong Kong, alla peste suina che sta spingendo l’inflazione dei prodotti alimentari. È un momento molto difficile ed è anche difficile capire cosa potrà succedere.