Cresce la diffidenza sui laboratori in cui virus pericolosi e potenzialmente mortali vengono conservati e manipolati. Il primo, eclatante caso si era verificato nel 2019, quando il virus H5N1 dell’influenza aviaria era sfuggito dal laboratorio di massima sicurezza dell’ Influenza Research Institute at the University of Wisconsin-Madison. Nonostante il virus infettasse raramente gli esseri umani, in quell’occasione era emerso come due team scientifici – uno in Wisconsin, guidato dal virologo Yoshihiro Kawaoka, e un altro nei Paesi Bassi, guidato dal virologo Ron Fouchier – già nel 2011 avevano potenzialmente spinto il virus nella direzione di infettare l’uomo.



Con l’intenzione di proteggere l’umanità dalle pandemie, analizza la reporter Alison Young su USA Today International, quei due laboratori avevano creato un virus H5N1 capace di diffondersi nell’aria tra i furetti, modelli di studio del comportamento di questo virus influenzale. Come riferisce la reporter, all’epoca Kawaoka aveva definito “irresponsabile” non studiare la possibile evoluzione del virus in natura, dichiarando che “alcune persone hanno sostenuto che i rischi di tali studi – uso improprio e rilascio accidentale, ad esempio – superano i benefici. Io rispondo che i virus H5N1 circolanti in natura rappresentano già una minaccia”. Poi, l’arrivo del Covid ha riaperto l’aspro e controverso dibattito sulle questioni di guadagno, etica e sicurezza della ricerca biologica.



Sicurezza nei laboratori in cui si studiano virus letali: l’incidente nel 2013

A oggi non è ancora stato stabilito con certezza se il Covid sia un virus sfuggito dal laboratorio di Wuhan oppure si sia propagato dal famigerato “wet market” della città cinese, ma resta il problema della sicurezza nei laboratori che hanno quotidianamente a che fare con virus letali. Nel 2013, riporta USA Today International, uno dei ricercatori del team di Kawaoka si era accidentalmente punto con un ago contenente un virus H5N1 ingegnerizzato. In conseguenza, era stato mandato in quarantena a casa, nonostante Kawaoka avesse assicurato ai funzionari del National Institutes of Health, quando era a caccia di finanziamenti per i suoi esperimenti, che l’università disponeva di un appartamento di quarantena.



Dopo un lungo braccio di ferro tra le autorità sanitarie e l’Università, la quale non voleva che l’ospedale locale fosse utilizzato per le quarantene per via del rischio di aumentare l’esposizione al virus, a dicembre 2013 Kawaoka aveva ottenuto l’approvazione per riprendere le sue ricerche e continuare a manipolare i virus H5N1 trasmissibili ai mammiferi. Ma già nel 2014 il governo Usa aveva manifestato crescente inquietudine sui rischi di un virus ingegnerizzato e sul problema della sicurezza nei laboratori.