Ci avviciniamo sempre di più alla – sempre temuta – stagione delle influenze che causerà una nuova mini-epidemia del virus sinciziale che ogni anno contagia migliaia e migliaia di bambini in tutto il mondo, causando nei casi peggiori bronchioliti che potrebbero anche rivelarsi letali per il piccolo paziente: si stima – infatti – che ogni anno muoiano in tutto il mondo qualcosa come 100mila bambini sotto i 5 anni d’età e sul solo nostro territorio lo scorso inverno ne sono morti 16, a fronte di circa 15mila ricoveri dei quali 3mila in terapia intensiva; dati, insomma, da non sottovalutare e che richiederebbero un intervento – quanto meno – preventivo.



Proprio in questa direzione si sono mossi i due colossi farmaceutici Sanofi e AstraZeneca che nei mesi scorsi hanno messo a punto una sorta di vaccino – tecnicamente un anticorpo monoclonale – per il virus sinciziale che mira proprio ad evitare il primo contagio e (di conseguenza) gli episodi più gravi: si chiama Nirsevimab-Beyfortus ed è già stato approvato sia dall’Ema che dall’Aifa, finendo tuttavia al centro di un mezzo scontro tra governo, regioni, aziende ed enti regolatori.



L’ISS contro il vaccino sul virus sinciziale: “Effetti modesti nel prevenire le ospedalizzazioni”

Dello scontro – e soprattutto della strategia economica di Sanofi – sul vaccino per il virus sinciziale ve ne avevamo parlato in un altro articolo, mentre qui ci interessa soffermarci su quello che è successo dopo: attualmente – infatti – il dicastero della Salute ha dato il via libera alle pressioni della Società di Pediatria e Neonatologia che vorrebbero avviare la profilassi con l’innovativo farmaco su tutta la popolazione di bambini sotto i 6 anni di età, sostituendo l’attuale Palivizumab che viene somministrato – sempre per prevenire il virus sinciziale – ai soli bambini a rischio e fragili.



Un via libera – rivela il Fatto Quotidiano – che desta un paio di preoccupazioni, soprattutto a fronte di un recentissimo parere dell’ISS (che era intervenuto proprio prima del parere del dicastero) in cui si mette in chiaro che l’anticorpo mostra “un modesto effetto in termini di riduzione del rischio di ospedalizzazione”: l’intento non è tanto quello di frenarne l’adozione – ed anzi viene definito “un utile strumento” -, quando quello di chiedere un’approfondita riflessione sui benefici dell’uso “a tappeto” del farmaco anche – e soprattutto – nei “bambini sani”.