La visita ufficiale di Giorgia Meloni in Cina rappresenta un test molto delicato per la politica diplomatica di questo Governo. Rafforzare i rapporti economici dopo non aver rinnovato il memorandum d’intesa sulla Via della Seta non sarà un’impresa facile. Per Pechino affari e politica sono le due facce del modo con cui intende espandere la propria influenza e pensare di separare affari e politica rischia essere puro wishful thinking. Cercare una forma di autonomia strategica è assolutamente legittimo, ma la delicatezza del dossier cinese non permette infingimenti o ambiguità.
Il fatto che la missione diplomatica avvenga in un momento particolarmente difficile del rapporto fra Unione europea e Cina può alimentare le aspettative cinesi circa l’inizio di una nuova fase più favorevole per il conseguimento dei propri obiettivi. Sul tavolo sono due le questioni principali: i dazi, in particolare nel settore dell’automotive, e il ruolo della Cina come possibile mediatore fra Ucraina e Russia. Detto nel modo più chiaro possibile, è difficile pensare che in questa fase il Governo italiano riesca a portare a casa i risultati che Scholz e Macron non hanno ottenuto.
Limitare gli effetti più problematici dell’esposizione economica alla Cina impone di avere un atteggiamento selettivo nei confronti delle relazioni commerciali, riducendo lo scambio di merci ritenute di valore strategico senza interrompere del tutto i flussi di merci. Indubbiamente per il Governo Meloni portare in Italia investimenti cinesi nel settore dell’automotive rappresenterebbe un risultato spendibile all’interno del dibattito politico interno, ma la ricaduta positiva per l’occupazione darebbe ai cinesi l’opportunità di entrare nel mercato europeo dalla porta principale facendo passare la relazione sino-italiana dal piano dello scambio di reciproche convenienze a quello dipendenza.
Dal punto di vista puramente geo-economico e quindi della creazione di un spazio economico, l’ingresso della manifattura cinese in Italia allineerebbe ulteriormente il Governo italiano a quello Orban che ha fatto dell’Ungheria la piattaforma dell’espansione cinese in Europa. Inoltre, riequilibrare la bilancia commerciale puntando in modo esclusivo sui comparti dell’agroalimentare e la moda è pura utopia. L’esito di questo rapporto neutralmente asimmetrico sarebbe quello di legittimare la Cina come soggetto geopolitico che può contribuire ad avviare negoziati fra Ucraina e Russia e quindi in grado di riportare la pace in Europa. Un risultato che per Pechino equivarrebbe a un vero e proprio trionfo diplomatico. La plausibilità di questo quadro viene confermata anche dalla dichiarazione del ministro degli Esteri Tajani che ha accreditato la Cina come un “interlocutore portatore di pace”.
Il recente smacco incassato dal Governo italiano sulla questione del fronte Sud della Nato potrebbe indurre il nostro Esecutivo a rifarsi rafforzando i rapporti con la Cina per avvantaggiarsi nella competizione intraeuropea in attesa della possibile elezione di Trump e la conseguente riconfigurazione sistemica dei rapporti internazionali. Ma la fase di incertezza attuale rende ogni scommessa particolarmente rischiosa e lasciarsi alle spalle i sospetti reciproci e i conflitti passati è un’altra impresa ardua. Come giustamente ha fatto notare Giulia Pompili, il divieto imposto dall’intelligence alla delegazione italiana di utilizzare smartphone e altri apparecchi elettronici di uso quotidiano per ragioni di sicurezza fa pensare che è “difficile rilanciare i rapporti con un Paese in cui non ti fidi nemmeno di portarti dietro il tuo cellulare”. Detto in altro modo, molto probabilmente i tempi per una nuova fase dei rapporti sino-italiani non sono ancora maturi e la ricerca di una maggiore autonomia strategica si gioca su teatri a noi più vicini.
Raggiungere in modo compiuto gli obiettivi del “Piano Mattei”, ad esempio, porterebbe all’Italia dividendi più cospicui, ma a ben vedere il rilancio dell’azione italiana in Africa porta gli interessi italiani a confliggere con quelli cinesi. Una realtà che al momento la cortesia diplomatica impone di porre ai margini.
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