NEW YORK – Pare che ci sia il primo caso diagnosticato in California. Doveva pur arrivare: siamo 330 milioni, veniamo da ogni angolo del mondo e questa è l’epoca della globalizzazione. E i virus non usano il passaporto. Se poi volessimo prendercela con la Cina e considerassimo il viavai continuo di quasi quattro milioni di American–Chinese tra Stati Uniti e paese d’origine, mi sembra piuttosto inevitabile che qualche virus sia stato importato. Per quanto i cinesi tendenzialmente amino stare solo tra di loro, vivono pur sempre nel mondo in cui viviamo noi.



Razzismo? Beh, da questo punto di vista i cinesi sono in buona compagnia, visto che tutti qua sanno che oltre alla Cina il coronavirus prospera nel Belpaese. E gli italiani, a differenza dei cinesi, sono sempre dappertutto, difficile tenerli alla larga.

Raramente, molto raramente l’Italia conquista la prima pagina del New York Times, ma ieri ce l’abbiamo fatta. Con il coronavirus. Sempre ieri Trump ha voluto/dovuto pronunciarsi, ha parlato, ha detto che non c’è da preoccuparsi, aggiungendo che – parola della prestigiosa Johns Hopkins University – gli Stati Uniti sono preparatissimi.



Siccome mi pare che del coronavirus non ci capisca granché nessuno, non si sa come Trump possa capirci qualcosa. Comunque il presidente si è sentito in dovere di tranquillizzare tutti e di mettere il suo vice, Mike Pence, a coordinare le operazioni anti–virus.

La gente? Qualche mascherina in giro la si vede (e non sono quelle di carnevale, che qui non si festeggia, non esiste), ma in genere la cosa sembra ancora molto lontana, un problema di salute altrui, un affare altrui. Ma affare altrui non è già più per chi lavora con Cina ed Italia (tanti), e per chi ha i risparmi in borsa (quasi tutti). Wall Street, nonostante le rassicurazioni di Trump, butta sangue di brutto anche oggi per il terzo giorno di fila. E per chi legge o ascolta le notizie di rassicurante c’è poco. Proprio mentre scrivo mi arriva una bella informativa “flash” sul telefono: Il CDC, Center for Disease Control and Prevention (l’Istituto Nazionale di Salute Pubblica), ci fa sapere un paio di cosette: che il paziente in California è stato diagnosticato con grave ritardo e che il coronavirus probabilmente non è che sia proprio contenibile. È difficile contenere quando non si sa bene cosa si vorrebbe contenere.



E martedì 3 marzo, ci ricorda un altro flash di agenzia, c’è Super–Tuesday, la prima grande prova del fuoco per tutti gli aspiranti candidati Democratici alla Presidenza.

C’entra qualcosa col coronavirus?

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