Non hanno vinto Pd e M5s, ma Alessandra Todde, a sinistra dovrebbero ricordarlo, spiega al Sussidiario Enzo Risso, direttore scientifico di Ipsos, docente di teoria e analisi delle audience nell’Università La Sapienza di Roma, mentre il centrodestra ha sbagliato il candidato – o meglio, l’errore è stato di chi lo ha scelto e imposto alla coalizione, anche se Paolo Truzzu, all’indomani della sconfitta, se ne è assunto tutta la responsabilità.
Ad urne appena svuotate, l’attenzione è già calamitata dalle prossime scadenze, le elezioni regionali in Abruzzo (10 marzo), Basilicata (21 e 22 aprile) e Piemonte (8 e 9 giugno). Impossibile, secondo Risso, fare previsioni sulla base del voto sardo, perché ogni realtà ha una storia sua. Ci sono però tendenze di lungo periodo e indicazioni generali sulle quali i partiti potrebbero riflettere.
Professore, che segnale manda il voto regionale in Sardegna?
Il primo è che l’attuale coalizione di governo non è onnipotente. La strada non è mai in discesa: la società rimane complessa e ondivaga. Il secondo segnale più evidente non è la vittoria del “campo largo”, ma l’ampiezza dell’area politica di centrosinistra, considerando l’orientamento e l’elettorato di Soru.
Un cenno su risultato politico e affluenza?
Ha votato il 52%, dunque l’astensione rimane importante. Negli ultimi anni sono stati soprattutto gli elettori di centrosinistra a rimanere a casa. Tornando alle urne hanno consegnato la vittoria alla Todde.
La Sardegna si può definire una Regione di centrosinistra?
La Sardegna è una regione di centrosinistra che ha saputo dare vittorie anche al centrodestra. Ma anche una quota di elettori di centrodestra è rimasta a casa, delusa o per ragioni locali o per ragioni nazionali.
A sinistra chi ha vinto le elezioni sarde? Pd o M5s?
Ha vinto un candidato, anzi la candidata Todde. Non vince “il campo largo”, a vincere è sempre una figura determinata, quella che il campo largo o chi per esso decide di candidare. Alessandra Todde ha impersonato un’idea convincente di cambiamento.
Se il centrodestra dicesse di essere maggioritario, come mostrano i voti di lista?
Sbaglierebbe, perché ai 290mila voti delle liste di centrosinistra vanno sommati i 45mila voti delle liste di Soru. Che Soru sia di sinistra è innegabile.
Truzzu ha perso a causa del voto disgiunto?
Il voto disgiunto c’è stato ma non è stato determinante nella sua sconfitta, trattandosi di 5mila voti.
È possibile trarre dal voto sardo qualche indicazione sul prossimi voti regionali?
Non in modo diretto. Il voto sardo offre indicazioni generali. Poi ci sono tendenze di lungo periodo che, combinate con le realtà locali, possono dare luogo a risultati non prevedibili. Quindi no, non si può dire che in Abruzzo andrà “probabilmente” in un certo modo perché in Sardegna è successo quello che abbiamo visto.
Quali sono queste dinamiche di più lungo periodo?
C’è un rallentamento delle spinte populiste, per esempio l’idea che i partiti facciano solo i loro interessi senza curarsi del popolo: si passa dal 72% del 2016 al 64% del 2023. Ancora: il Paese ha bisogno di un leader forte per riprendersi? È un’idea che perde 16 punti, dal 67% del 2016 al 51% del 2023. È in calo anche la convinzione che le cose importanti dovrebbero essere decise direttamente dal popolo e non dagli eletti: nel 2021 la pensava così il 63%, oggi è il 52%.
Dove ci portano questi segnali?
Fanno pensare che ci siano, a quasi due anni di distanza dalle ultime politiche, dei movimenti in corso molto lenti di cui magari non vedremo gli effetti alle prossime europee. O forse sì: non lo sappiamo. Accontentiamoci di dire che c’è qualche leggero scostamento dalle dinamiche viste nelle une del 2022.
Non è improbabile che nel centrosinistra si faccia questo ragionamento: brava Alessandra Todde, ma gli elettori hanno detto no anche al Governo Meloni. Premiando di conseguenza alcune politiche-simbolo della sinistra: salario minimo, Rdc, Superbonus.
Qui arriviamo alle indicazioni generali. La politica è fatta di vasi comunicanti. Se qualcuno sta a casa e non vota, non lascia uno spazio vuoto, ma uno spazio che qualcun altro occupa al posto suo. Ciò detto, la prima regola della politica è quella di portare al voto i propri elettori. Non sempre quando si è al potere tutti i propri elettori vanno a votare, perché per vari motivi hanno bisogno di mandare un segnale.
Quindi?
Sicuramente c’è un merito della candidata vincente, su quelli dei partiti sarei più cauto.
Se c’è un merito del candidato vincente, c’è un demerito di quello perdente.
Sì, o anche dei partiti che hanno scelto di cambiare in corsa il candidato.
Ci spieghi meglio la sua cautela sull’ottimismo dei partiti.
I Cinquestelle passano dal 21,8% delle politiche 2022 al 7,8% di queste regionali, il Pd da 18,7% al 13,8%, FI dall’8,6% al 6,3% Lega dal 6,2% al 3,7%, FdI dal 23,6% al 13,6%. I grandi colpi li hanno subiti M5s e FdI. È vero, tra politiche e regionali è un confronto sui generis, ma resta indicativo.
La lezione per i partiti al Governo la sappiamo: la strada non è mai in discesa. Per il centrosinistra?
Non hanno ancora trovato una strategia vincente, visto che a vincere è stata una candidata.
Ma la formula del campo largo, che per Conte e Schlein sembra una necessità politica, è vincente o no?
L’unità fa sempre bene, vedi Soru, ma questa è una banalità. Il campo largo non vince perché è il campo largo, ma se e perché ha una proposta di Paese vincente, appetibile per l’elettore. Dunque non è un problema di campo largo ma di “main promise”, come si direbbe in pubblicità.
Cioè perché dovrei votare per un partito, e non per un altro.
Conta l’idea di futuro che si trasmette. Ricordiamoci la massima di Mitterrand: le persone non votano per il passato, ma per il futuro. Sembra retorica, ma non lo è.
(Federico Ferraù)
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