Ricordate Has Fidanken? Il simpatico cocker protagonista del famoso sketch di Drive In, a cui Gianfranco D’Angelo nelle vesti di uno squinternato prestigiatore si rivolgeva chiedendogli di fare cose impossibili? Ecco, mi è venuto in mente proprio Has pensando a Nicola Zingaretti, al mare in tempesta che lo circonda dal primo giorno in cui si è insediato al Nazareno e alla quantità di interrogativi a cui lui sistematicamente non risponde.
Anche le provocazioni più forti lo lasciano sostanzialmente impassibile. Quasi tutti i commentatori politici si interrogano su quale sarà, o meglio, quale dovrebbe essere la prossima mossa del segretario del Pd. Cosa farà Zingaretti? Prima o poi mostrerà gli attributi? Dirà prima o poi “basta”?
E lui – imperterrito – che da quando ha preso a guidare il Pd non abbandona la sua linea: cioè non fare nulla, lasciare l’iniziativa agli altri, che tanto sbagliano sicuramente.
Prendiamo ad esempio la confusa e agitata situazione di questi giorni. Tutti ci domandiamo se il governo Conte durerà fino a Natale e se ci sono margini realistici per ricomporre un quadro che sembra sfociare in una rissa gigantesca.
Poi però – improvvisamente – le cose si sono risolte e tutti ci chiediamo chi sia l’artefice di un tale miracolo o se è solo il frutto del timore di andare a votare.
È successo così per il Mes, il famigerato fondo salva-Stati. Per settimane abbiamo assistito ad un dibattito surreale in cui ci si accusava reciprocamente di voler svendere il Paese al nemico. Sembrava non esserci ormai più spazio per tentare un accordo, eppure alla fine il tema è svanito come se nulla fosse. È bastato solo che il ministro Gualtieri portasse a casa un rinvio di un paio di mesi.
Stessa sorte è toccato al caldissimo tema della prescrizione. Fiumi di parole, minacce, accuse. Il Fatto Quotidiano ha sostenuto la campagna con intere pagine contro il partito trasversale del “no alla prescrizione”. Eppure anche in questo caso siamo giunti alla vigilia di un altro accordo che sancirà un secondo rinvio di altri 12 mesi.
Ancora, se non bastasse, stessa cosa sta accadendo sulla riforma della legge elettorale. Chi l’avrebbe detto che alla fine era così facile mettersi d’accordo su una legge proporzionale con l’eliminazione della quota maggioritaria e con una correzione in chiave maggioritaria garantita da un’alta soglia di sbarramento.
L’agitazione che contraddistingue gli alleati del Pd denota però un certo grado di preoccupazione. Dopo tutto questo dichiarare, minacciare, agitare e rivendicare a se stessi ogni più piccolo e insignificante successo (come fa la Bellanova nell’esilarante intervista di ieri al Messaggero), i sondaggi danno da mesi sempre lo stesso risultato: la vittoria certa della Lega e il Pd – nonostante ben due scissioni – stabilmente sopra il 20%.
L’avanzata di Salvini appare così inarrestabile agli occhi degli stessi avversari che – senza pudore – questi si sono spinti a cercare, sottobanco, accordi separati. I figli di Berlusconi hanno chiesto una fine onorevole per Forza Italia, così da evitare al padre l’umiliazione della disfatta. Renzi ha incontrato furtivamente il “capitano” a casa del suocero Verdini. Incontro che lui smentisce ma che tutti invece danno per avvenuto. Il senatore fiorentino avrebbe cercato di barattare la fine del governo Conte con un patto per una legge elettorale proporzionale senza sbarramento.
Renzi è molto più agitato di quello che appare. Il suo nuovo partito non decolla da un misero 3%. Per di più si sente sotto attacco. L’inchiesta che coinvolge la Fondazione Open sta portando a galla anche le divisioni all’interno del “giglio magico” che covavano da tempo sotto la cenere. La sua rottura con Lotti, i dubbi sulla gestione dell’avvocato Alberto Bianchi, la coppia Boschi-Bonifazi che si fanno una fondazione per fatti loro. Reggerà ancora per molto la linea di difesa scelta in questi giorni? Anche per questa ragione Renzi appare il principale indiziato tra quelli che ora lavorano per la caduta del governo.
Ma quello però che non tutti sanno – e qui, miei cari lettori, pure Travaglio potrebbe rischiare l’infarto – è che anche la coppia Luigi Di Maio-Alessandro Di Battista ha bussato in questi giorni alla porta di Salvini e ha ottenuto di incontrarlo di nascosto. Senza dire nulla al garante Beppe Grillo, ovviamente. I due giovani leoni 5 Stelle, finiti malamente in minoranza nel Movimento, sono andati anche loro ad offrire la testa del povero Conte e la formazione – udite, udite! – di un nuovo governo gialloverde a guida leghista. Salvini gli avrebbe risposto che non prende seriamente in considerazione una tale possibilità.
Dunque, a conti fatti, come dicevamo all’inizio, l’unico che ha tenuto la schiena dritta ed è rimasto fermo al suo posto è stato proprio Nicola Zingaretti. L’unico che non ha tentato mosse azzardate e che non si è esposto al ridicolo. L’unico a cui bisogna dare atto di essere rimasto lealmente a combattere accanto al premier Conte. Forse anche per questo i suoi consensi personali crescono, lentamente, ma crescono.
A costo di fare la figura di un redivivo Gianfranco D’Angelo, mi viene da dire: “guardatelo, miei cari signori, che grande leader! Come il nostro caro e amato Has Fidanken, anche Nicola Zingaretti è il migliore di tutti, non sbaglia mai un colpo!”.