Tecnicamente si definisce “gettarsi sotto il carro del vincitore”. Sì, sì, avete capito bene. Non stiamo parlando di quell’altra pratica – molto diffusa in Italia – di “saltare sul carro del vincitore”. Stiamo parlando di una specialità in cui riescono davvero in pochi. In sostanza si tratta di indovinare in anticipo dove si dirige il carro del vincitore, farsi trovare ben acquattati dietro una curva e quando il carro arriva buttarsi senza esitazioni tra le ruote, pensando di essere un bastone. Ma è molto probabile che le ruote non si blocchino e il carro passi sul malcapitato senza deragliare.
La metafora calza perfettamente all’attuale politica di Matteo Renzi. Da quando è stato lui ad essere disarcionato dal carro, mentre lo conduceva spericolatamente verso sconnesse riforme costituzionali e referendum plebiscitari, ha fatto di Giuseppe Conte il suo obiettivo preferito.
Influiscono evidentemente i sondaggi negativi che dall’inizio della pandemia hanno affiancato – ancora una volta – i destini dei due Matteo. Tolti dalla scena e impegnati da problemi molto più seri, li abbiamo sinceramente persi di vista. In ogni caso hanno anche provato a dire la loro in più occasioni, ma sono risultati oggettivamente inutili. Fanno finta di dire cose opposte. Come ad esempio nel caso dei 36 miliardi del Mes, da utilizzare subito, secondo gli esponenti di Italia viva, da non utilizzare mai, secondo quelli della Lega. Ma oggi conducono una battaglia comune per riaprire tutto “il più presto possibile”.
Hanno quindi avuto ragione quelli che sospettavano che tra i due Matteo ci fosse un accordo per far cadere il governo. Quello che non è chiaro è come pensano di convincere la maggioranza dei parlamentari e Mattarella a seguirli in questa avventura.
Bisogna aggiungere che la maggioranza silenziosa dei cittadini – cioè quella che non rumoreggia tutte le mattina su Twitter protestando per la chiusura, secondo loro ingiustificata, di ristoranti, alberghi e parrucchieri – condivide la prudenza di Conte e dei suoi consiglieri scientifici. Si tratta ora con molta serietà di far ripartire l’anima produttiva del paese, cioè le fabbriche che devono tornare a funzionare al 100%. È lì che è concentrata la nostra capacità di produrre ricchezza e solo se salveremo il cuore produttivo potremo tirare un sospiro di sollievo. Potremo sinceramente attendere ancora due settimane per tagliarci i capelli o pensare di consumare un pasto seduti in un ristorante, o ancora, prendere in considerazione l’impellente organizzazione delle prossime vacanze.
A Renzi poco importa dello sforzo enorme che sta facendo il governo di cui fa parte. Dopo aver arraffato qualche nomina per i suoi sodali, sembra preoccupato solo del fatto che da questa tragedia possa uscire un governo più forte e un presidente del Consiglio apprezzato dagli italiani.
Ma anche il Pd sembra in buona salute. Infatti risale posizioni nei sondaggi – ormai è stabilmente oltre il 23% a pochi punti dalla Lega scesa al 27% – e miracolosamente non sembra più in preda a quelle lotte intestine che erano ormai un tratto distintivo del recente passato.
Dopo la figuraccia fatta giovedì al Senato, dove il leader di Italia viva ha pensato bene di evocare i morti di Bergamo e Brescia per intimare la riapertura totale del Paese, non si rischia di infrangere le regole del buon gusto se paragoniamo Renzi al coronavirus e il Pd ad uno di quei simpatici vecchietti usciti sani e salvi da qualche terapia intensiva. Il Pd assomiglia oggi davvero a un miracolato. Immaginatelo infettato per anni dal Renzi-virus, averlo sconfitto a grande fatica, e dopo che un po’ tutti lo davano per morto, aver ripreso lentamente le funzioni vitali.
Ora resta solo da chiedersi se il Pd ha sviluppato davvero una quantità sufficiente di IgG, quelle che abbiamo imparato in questi giorni essere le proteine in grado di garantire – per lungo tempo – la totale immunità dal virus. In questo caso da Renzi, appunto.