I risultati delle elezioni in Emilia-Romagna parlano chiaro: ora tocca a Zingaretti, se vuole davvero vincere in Italia, risollevare le sorti dei 5 Stelle e di Italia viva. Vi sembra un paradosso?

Il mantra a cui si sta sottoponendo il vertice piddino in queste ore recita pressapoco così: uno, festeggiare composti; due, rilassarsi un pochino fino alla prossima battaglia elettorale (perché già il 23 febbraio c’è un collegio del Senato a Napoli che rivota, e un altro della Camera a Roma il 3 febbraio); tre, riflettere su come sono andate le cose, e soprattutto non cantare vittoria troppo presto.



Mentre già circolano le prime dettagliate analisi degli esperti e i primi studi sui cosiddetti flussi elettorali, vi è una novità nel voto di domenica che è apparsa immediatamente in tutta la sua rilevanza e sovrasta di gran lunga ogni altro aspetto. Per la prima volta da quando esistono, una quantità impressionante di elettori 5 Stelle ha deciso – praticamente da soli – di sfondare il “muro della contrapposizione” costruito in anni di denunce e di contumelie, e ha votato in massa il candidato del Pd. È successo in Emilia-Romagna, facendo così stravincere Bonaccini, ma lo hanno fatto anche in Calabria dove hanno sostenuto il candidato indipendente Callipo, molto meno bisognoso di questo apporto perché perdente in partenza.



Se c’era una certezza a cui ci eravamo abituati in questi anni era proprio quella relativa agli elettori grillini che disprezzavano il Pd a tal punto che non avrebbero esitato a scegliere un candidato leghista.

Per capirci, l’accordo di governo nel 2018 tra Salvini e Di Maio si fondava su questa tacita intesa dei due elettorali, uniti dall’odio profondo verso il Pd di Renzi. In pochi mesi Salvini ha avuto la capacità di ribaltare questa situazione e di inimicarsi il popolo grillino a tal punto da far loro considerare il voto al partito dell’establishment come il male minore.

Proprio per questo motivo il Pd ora non solo dovrà continuare a sostenere il governo Conte con lealtà e intelligenza (cosa che sta facendo dal primo giorno), ma dovrà evitare di infierire sulle truppe in rotta dei 5 Stelle. Anzi, se possibile, dovrà trovare il modo di aiutarle, spingerle a riorganizzarsi, insomma deve fare il possibile per fermare l’emorragia. Al Pd non serve affatto prosciugare i 5 Stelle, al contrario gli farebbe comodo un movimento attestato su una percentuale a due cifre.



Così come il Partito di Zingaretti deve saper guardare anche alla sua destra. Il pessimo risultato di +Europa in Emilia-Romagna conferma la velleità con cui Calenda ha preteso di poter addirittura dar vita ad un suo partito. Ma anche Matteo Renzi ha sottovalutato il voto regionale di domenica scorsa. In particolare le conseguenze nel caso di vittoria del centro-sinistra.

Diciamo la verità, Renzi non credeva possibile il successo di Bonaccini. Altrimenti perché scomparire dalla battaglia? non schierare le truppe di Italia viva e tenersi così alla larga dalle piazze emiliane e romagnole?

Altro clamoroso errore di calcolo del  senatore fiorentino. Uno dei tanti. Eppure adesso è il Pd che non può permettersi sul “fronte destro” dello schieramento il duplice fallimento di Calenda e di Renzi, soprattutto ora che Forza Italia ha dato segnali di risveglio dal coma, in particolare nel voto meridionale.

Quali saranno le prossime mosse del Pd? Zingaretti, anche con molto merito, ha rapidamente realizzato il suo programma. Ha dimostrare che il Pd è vivo, addirittura primo partito sia in Emilia-Romagna che in Calabria. Ha assorbito ben due scissioni. Il Pd senza Renzi ha ritrovato vigore, una unità interna a cui nessuno credeva più, una capacità di dialogo coi i movimenti come è accaduto con le sardine. Senza contare che oggi i 5 Stelle sono alleati fedeli del centro-sinistra. Ha quasi varato una nuova legge elettorale proporzionale. Insomma ha ridato centralità ad un partito che solo un anno fa in parecchi davano morto.

E ora? Ora serve un nuovo programma. Che abbia come obbiettivo principale quello di costruire intorno al Pd uno schieramento maggioritario. E qui – come sappiamo – la partita si complica. L’Italia non è l’Emilia-Romagna, e in ogni caso servono alleati ben più solidi di quelli attuali. Ben oltre la striminzita soglia del 5%. Insomma ritorna il tema di come sottrarre al centro-destra l’elettorato moderato liberale ed europeista.

Forse proprio per questo è diventato urgente convocare un congresso dove tornare a discutere, senza necessariamente dividersi su un nome.