Accadeva spesso negli anni d’oro della prima repubblica, quando nel governo non si raggiungeva l’accordo, che il provvedimento in questione venisse prudentemente “rinviato”. La dottrina dell’epoca riteneva – forse a ragione, potremmo dire oggi con il senno di poi – che fosse la politica a dettare i tempi delle decisioni, e non il contrario.



Allora nessuno si scandalizzava, un rinvio era a volte considerato molto più saggio di una spaccatura dolorosa e foriera di divisioni perenni.

L’idea che la politica dovesse essere più veloce fu imposta dai giovani leoni socialisti riuniti intorno a Craxi, impazienti com’erano di dimostrare la loro dedizione totale alla modernità.



La velocità della politica è poi diventato al giorno d’oggi un dogma da cui è difficile derogare. La velocità è considerata una condizione essenziale: del resto ad un tweet di un avversario occorre rispondere in pochi secondi. L’intero dibattito sull’urgenza di una riforma istituzionale è ruotato intorno al concetto di velocizzare le decisioni: come ad esempio semplificare e porre fine ad un bicameralismo obsoleto, o scegliere un sistema elettorale che mettesse il vincitore in condizione di governare, o ancora disporre di una pubblica amministrazione autonoma in grado di garantire in ogni caso la gestione della cosa pubblica.



Si è dovuto attendere il ritorno al proporzionale per vedere nuovamente tornate di moda i vertici di maggioranza e le lunghe riunioni notturne a Palazzo Chigi concluse da un vago “salvo intese”. Solo la Rai ha vissuto in maniera assai relativa il passaggio da una “repubblica” ad un altra, rimanendo sostanzialmente uguale a se stessa.

Ne sa qualcosa l’ultimo amministratore delegato pro-tempore. Investito di un mandato molto ampio dal governo giallo-verde, Fabrizio Salini ha immaginato di poter imporre una riforma radicale dei poteri all’interno della Rai, senza fare sconti a nessuno. Espressione del Movimento 5 Stelle, su proposta del giornalista-senatore Paragone, ha inizialmente pensato di dover accontentare Salvini su tutto pur di fargli accettare la sua proposta di trasformazione dell’azienda. Salini ha come obiettivo quello di mettere fine ai poteri tradizionali, quelli rappresentati dalle reti e in particolare da Rai1, dai responsabili dei programmi, dalle strutture verticali, dall’autonomia dei Tg.

Con il passaggio improvviso al governo giallo-rosso e la nascita del Conte 2, e la contemporanea caduta di Salvini, il capo azienda Rai ha provato a non cambiare nulla del suo progetto. Non ha in effetti nessuna intenzione di rinunciare al suo piano strategico e alla nascita delle nuove divisioni di prodotto. A questo punto prova a mettere in pratica due strategie convergenti. Da un lato cerca di abbindolare il Pd, dando ascolto a chi gli racconta che Zingaretti ci capisce poco di Rai ed è a corto di uomini e donne da collare. Dall’altro prova a spaccare le forze che si erano coagulate intorno alla Lega, stringendo un patto di ferro con un gruppo dii “leghisti” amici.

Anche qui una previsione sbagliata, perché Salvini non si è lasciato ridimensionare e il gruppo intorno al presidente Marcello Foa non è riuscito ad avere carta bianca dal capo politico.

Sta di fatto che il povero Salini è da agosto fermo al palo, non è riuscito a fare più una nomina e si è ricoperto di ridicolo annunciando cambiamenti che non sono mai arrivati. In particolare non gli è riuscita l’operazione di cambio al vertice di Rai1, anche perché i risultati della rete ammiraglia sono stati lusinghieri. Rai1 è in assoluto la rete che va meglio e ha dimostrato anche con programmi poco costosi di crescere negli ascolti e tenere lontana la concorrenza.

Dalla diretta della prima della Scala a Fiorello in prima serata, fino al netto recupero operato dai “Soliti ignoti” la rete ha combattuto e vinto anche nei difficili mesi di autunno e inverno. Ma il risultato più significativo è stato ottenuto proprio con una produzione interna, come ha dimostrato il programma “Una storia da cantare”, ideato e diretto da Enrico Ruggeri, che ha riportato alla luce l’enorme patrimonio di competenze ancora disponibili in Rai. E a questo proposito sono arrivati alla Rete addirittura i complimenti di Anzaldi e di Gasparri, notoriamente tra i più critici verso il servizio pubblico.

Cosa farà adesso Salini? Continuerà a far finta di niente e a rinviare il Cda sulle nomine in attesa di un improbabile accordo, o più semplicemente prenderà atto del fallimento e si dimetterà?

Il prossimo anno si preannuncia carico di appuntamenti importanti. La Rai dovrà dimostrare di valere almeno quando costa alle tasche degli italiani.